“La famiglia c’è, il matrimonio resiste ma l’aumento dei nuclei composti dalle persone sole è una realtà sempre più consolidata. Sono solo alcuni degli elementi che emergono dal confronto tra le tipologie familiari in Provincia negli ultimi sette anni, come emerge dal rapporto stilato dal servizio statistica. Tra le 124.747 famiglie riminesi, prevale ancora e di gran lunga la tipologia “coppia con figli”, che rappresenta il 30,6% del totale. Quello che i numeri non dicono, invece, è la complessità “culturale” in cui la famiglia, cellula vitale della società, oggi si trova a vivere. E con la quale sempre più spesso si trova a fare i conti. In vista della prima “Festa della Famiglia” organizzata dalla Diocesi di Rimini, chiediamo un’analisi della situazione a Cesare Giorgetti, dall’alto dell’osservatorio privilegiato dell’Ufficio di Pastorale della Famiglia, del quale è primo direttore laico (sposato, e con cinque figli).
“Il sistema attuale è socialmente ricco di rapporti, di legami, di intrecci personali e di gruppi, ma tutte queste relazioni sono povere di connettivi organici ed unitari, manca in sintesi la comunione e la condivisione.
In assenza di ciò, finiscono con il prevalere i particolarismi, gli auto-adattamenti. Vengono meno i valori e norme assoluti, che prima valevano universalmente e immutabilmente”.
Tutto ciò ha prodotto effetti immediati?
“Ne rintraccerei almeno quattro: provvisorietà, reversibilità, soggettivismo e crisi delle relazioni umane. Per quanto riguarda la provvisorietà, la rapidità dei cambiamenti spinge a considerare normale non la stabilità, ma la mutazione; non più il duraturo, ma il provvisorio, l’occasionale.
Reversibilità di scelte. Le scelte che una volta erano considerate irreversibili, oggi tendono a diventare «ritrattabili» sia a livello professionale, sia nelle relazioni affettive. Le scelte sono tali che «nel breve termine» si è pronti a tornare sulle decisioni, non solo davanti a situazioni eccezionali, ma anche di fronte a diversi stati d’animo.
Inoltre, nelle relazioni interpersonali, l’altro (il diverso da me) è sempre posto in funzione del soggetto, uniformato alle sue esigenze, ed è pensato unicamente come strumento della sua affermazione.
Da ultimo, citerei le crisi delle relazioni umane. I giovani scoprono l’insignificanza dei modelli adulti, proprio in quanto privi di valore per quei bisogni profondi che anch’essi confusamente avvertono. Ma se l’adulto è una presenza insignificante, allora tutta l’esperienza storica diventa opaca e non offre piste percorribili”.
Secondo numerosi studiosi, oggi le coppie che si sposano sono “più” innamorate rispetto alle precedenti generazioni; più innamorate ma anche più fragili.
“A questa fragilità concorrono diversi fattori: dal concetto di libertà intesa in senso individualistico alla mancanza di progetti di vita condivisi non solo su grandi ideali ma anche sulla ferialità della vita (uso del tempo, dei soldi, educazione dei figli, amicizie ecc). Inoltre l’incapacità di gestire i conflitti non come la fine della storia ma come risorsa; e l’incapacità di conciliare le legittime esigenze personali con quelle della vita di coppia.
Un problema è rappresentato anche dalla scarsa «manutenzione della coppia», di tempi riservati alla coppia; ciò porta a non avere la percezione del disagio fino a quando non scoppia la crisi. Senza dimenticare la solitudine della coppia nel momento della difficoltà”.
Parallelamente, la famiglia italiana e riminese cambia.
“Alcune tendenze sono sotto gli occhi di tutti: dalla diminuzione della natalità (che non riesce più a rigenerare le famiglie) all’aumento del numero delle famiglie anagrafiche nonostante la crescita zero (o sotto lo zero). Aumenta l’età media di matrimonio e la procreazione si concentra nell’intervallo tra i 30 e 35 anni di età della donna. L’ampiezza media della famiglia, però, diminuisce, mentre aumentano separazioni, divorzi e figli nati fuori del matrimonio”.
Separazioni e divorzi sono sempre più presente anche nelle comunità cristiane.
“Ormai non sono più confinate in alcune categorie di persone o in alcuni ambienti: attraversano credenti e non credenti, matrimoni appena iniziati e matrimoni di lunga durata. È una realtà di sofferenza che deve interrogare le comunità cristiane.
Anzi, le comunità stesse devono chiedersi se nella loro prassi pastorale non ci sia una qualche colpa o carenza. Possono sentirsi tranquille in coscienza, le nostre comunità, su come avviene la preparazione al matrimonio? Possono ritenersi tranquille, sul modo con cui accompagnano le coppie sposate, soprattutto quelle più giovani, nel loro cammino d’amore e di fede? Sono le nostre comunità testimoni della fedeltà all’amore di Dio? Le coppie che domandano di sposarsi in Chiesa esprimono una reale scelta di fede e di vita maturata in un cammino serio di riflessione e di verifica?
L’autocritica non può certamente coprire tutte le cause di tanti fallimenti matrimoniali. Ma deve darci una spinta per ripensare la pastorale matrimoniale e familiare”.
Paolo Guiducci