Un mondo dove una lettera si confonde con un’altra e leggere diventa un’impresa. Ma non è una malattia perché le persone dislessiche non hanno problemi cognitivi. Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa). Quante volte ne abbiamo sentito parlare? E quante volte la dislessia è parsa come un disturbo di pochi, a volte classificati come geni perchè anche Einstein lo era e… che cosa sarà mai poi?
Michele, Lisa, Michela, Rossella lo sanno bene cos’è. La dislessia è un disturbo che spesso ti costringe in un mondo difficile, dove “molti pensano che non abbiamo voglia di studiare che facciamo finta e se usiamo una calcolatrice è perché facciamo prima”.
Ma non è così. Procediamo con ordine. Ci facciamo aiutare da Stefania Ronci, presidente della Sezione AID Rimini (associazione italiana dislessia).
Cos’è la dislessia e come è cambiata la percezione e l’approccio concreto con la legge 170/2010?
“Si tratta di un disturbo da cui non si guarisce ma che si può compensare con altre capacità. La legge 170 del 2010 ha regolamentato il tema inserendo nuove modalità di approccio, secondo me ha fatto fare un passo avanti alla scuola italiana”.
In che senso?
“Inserendo nuovi strumenti compensativi e con la volontà di considerare gli alunni diversamente dal passato, quando le persone venivano escluse, è come se la normativa avesse detto: cè un posto per te, ti insegnamo quello che puoi imparare, non è vero non sei portato ma educhiamo quella persona che, con altre abilità, può arrivare egualmente a risultati positivi. Quando i ragazzi hanno problemi più gravi, come un forte ritardo mentale interviene la nota legge 104/92 che riguarda i ragazzi disabili e prevede il sostegno scolastico. Per i ragazzi dislessici non era positivo, come avveniva in passato, essere prelevati dalla classe, alle elementari, per fare esercizi diversi fuori, con l’insegnate di sostegno, come se non potessero imparare come gli altri. Loro possono imparare, vanno solo supportati”.
Quali sono questi strumenti compensativi e, come sono applicati?
“Si tratta di strumenti per la sintesi vocale, computer, calcolatrici, schemi e mappe concettuali, strumenti di supporto all’insegnamento che questi ragazzi possono usare visto il loro disturbo, poi è ovvio che il lavoro grosso devono farlo comunque da soli, si tratta solo di un supporto”.
Sono previsti finanziamenti per questi ausili?
“All’inizio, quando la legge è uscita, qualcosa è arrivato. Ma il problema non è tanto quello degli strumenti perchè in linea di massima i ragazzi hanno ausili che portano da casa, è più difficile fare i conti con gli insegnanti e con gli altri ragazzi. Ci sono dei corsi che alcuni insegnanti seguono ma sono ancora troppo pochi quelli che lo fanno e spesso sono impreparati davanti a queste diagnosi. Ricordiamo che i nostri ragazzi portano a scuola un certificato con la diagnosi e hanno diritto a piani didattici personalizzati (PDP)”.
Ma?
“A fronte di insegnati molto preparati ce ne sono altri che non riescono a spiegare, al resto della classe, perché quel bambino deve usare quel determinato supporto. Bisognerebbe farlo, soprattutto alle elementari con una particolare capacità: far sembrare la cosa un gioco, rispondendo alle domande degli altri studenti e cercando di non far sentire troppo diverso il bambino con Dsa”.
Come il neonato Gruppo Giovani AID di Rimini può aiutare i ragazzi in questo senso?
“Partiamo sempre dallo stesso presupposto, la dislessia non è una malattia, i bambini sono normodotati ed hanno un disturbo che però può loro condizionare tutta la vita. Se i ragazzi si confrontano e parlano tra loro, aiutandosi sia a livello di confronto e condivisione delle emozioni, sia concretamente con i compiti, le difficoltà si smorzano e possono provare a uscire allo scoperto anche fuori dal gruppo e magari una volta a scuola riuscire a dire: Uso la calcolatrice e il computer perchè mi servono!”.
Silvia Ambrosini