Quali erano i problemi aperti a proposito della Scrittura al tempo del Concilio?
Almeno tre erano i più sentiti nell’ambito degli studi biblici e della presenza della Scrittura nella Chiesa.
1.Il rapporto Tradizione – Scrittura. Questo tema era soprattutto vivo nel mondo dell’Europa del Nord, nel quadro del dialogo tra protestanti e cattolici. Si trattava di rispondere alla domanda se la Chiesa ricava i suoi dogmi solo dalla Sacra Scrittura o anche da una tradizione orale che contenga cose non dette dalla Scrittura.
2. L’applicazione del metodo storico critico alla Sacra Scrittura e il problema connesso dell’inerranza dei libri sacri. Si era avuto qualche progresso rispetto alla dottrina molto rigida del passato col riconoscimento della validità dei generi letterari, e questo grazie all’Enciclica “Divino afflante Spiritu” del 1943. Ma la questione restava ancora pendente, e il tutto era sfociato in una esasperata polemica alla fine degli anni ’50. Bersaglio di questa polemica era soprattutto l’insegnamento del Pontificio Istituto Biblico, accusato di non tenere conto della verità tradizionale dell’inerranza dei libri sacri.
Il problema non toccava solo l’interpretazione della Scrittura, ma anche il rapporto quotidiano dei fedeli con la Bibbia. Se si obbligavano i fedeli a una interpretazione di tipo quasi fondamentalistico dei libri sacri, non pochi di essi, soprattutto i più colti e preparati, si sarebbero allontanati.
3. Il ”movimento biblico” che da oltre cinquant’anni stava favorendo una nuova familiarità con i testi sacri e un approccio più spirituale alla Scrittura, intesa come fonte di preghiera e di ispirazione per la vita. Ma si trattava di iniziative un po’ elitarie, sottoposte anche a sospetto e critica. Era importante riconoscere ufficialmente quanto c’era di buono in questo movimento, regolare questa nuova fioritura di iniziative, dare loro un posto nella Chiesa, nel caso correggerle, valutando a fondo i pericoli di deviazione ancora oggi ripetuti a proposito di questa lettura della Bibbia da parte dei laici.
Come avvenne, nell’ambito del Concilio, il processo di chiarificazione rispetto a questi temi, e soprattutto rispetto al terzo, cioè la Sacra Scrittura nella vita della Chiesa?
Lo schema preparatorio su questi argomenti, a cura della commissione apposita, fu proposto ai Padri il 14 novembre del 1962, col titolo “Constituzione sulle fonti della rivelazione”.
Quella prima seduta fu tempestosa. Il cardinale Liénart disse semplicemente: “Questo schema non mi piace”. Nello stesso senso parlarono con forti critiche i cardinali Frings, Léger, Koenig, Alfrinck, Ritter e Bea. In senso opposto parlarono invece altri Padri. Fu così che si giunse con fatiche e tensioni al voto del 20 novembre, in cui prevalse, con grande malumore di molti, la decisione di continuare la discussione. Senonché il Papa Giovanni XXIII intervenne con un gesto di grande saggezza, imponendo il ritiro dello schema per affidarlo ad una nuova commissione per un rifacimento.
Da allora ebbe inizio un lungo lavoro che produsse, con alterne vicende, numerose forme di testo, di cui l’ultima fu finalmente accettata il 22 settembre 1965. Venivano tuttavia proposti ancora numerosi “emendamenti”. Essi furono vagliati e inseriti nel testo che fu sottoposto a votazione il 20 ottobre del 1965. Si arrivò così alla votazione definitiva del novembre seguente, che registrò 2344 voti a favore e 6 voti contro.
Quali furono i punti maggiormente chiariti dalla nuova stesura, a cui fu dato il titolo di “Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione”, o “Dei Verbum” dalle parole iniziali, che furono inserite grazie a una proposta fatta nell’ultima discussione (settembre 1965)? Ne emergono alcuni.
1. Il concetto di “rivelazione”, che non era in questione all’inizio del Concilio, ma fu poi via via precisato durante le discussioni e i rifacimenti del testo, fino ad essere espresso come è ora al numero due della Costituzione, non più come riferito a delle verità, ma anzitutto al comunicarsi di Dio stesso: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre, e sono resi partecipi della divina natura ” (DV n.2). Questo chiarimento sulla natura della rivelazione ebbe effetto positivo su tutto il testo, e favorì una ricezione favorevole del documento.
2. Un concetto largo di Tradizione. Rispetto a quanto si era soliti dire in precedenza, il Concilio presentava, nel testo definitivo della Costituzione, un concetto ampio di Tradizione, che veniva espresso così: “La Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede” (n.8). Veniva così affermata anche l’unità di Tradizione e Scrittura, contro ogni tentativo di separazione: “La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono dunque strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito divino” (n. 9).
3. Sulla assenza di ogni errore, di fronte alle discussioni sull’interpretazione della Scrittura , il Concilio proponeva nella sua formulazione definitiva una concezione larga dell’inerranza. Il testo definitivo (n. 11) afferma che “i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere”. Con questo venivano messe a tacere molte oziose discussioni del passato sull’argomento.
Fondamentale appare il lavoro del Concilio dedicato all’importanza e alla centralità della Sacra Scrittura nella vita della Chiesa. Esso, nella sua stesura finale, recepisce le istanze fondamentali del movimento biblico e promuove una familiarità orante di tutti fedeli con tutta la Scrittura.
Quale il contributo del Concilio alla presenza della Scrittura nella Chiesa?
Il Vaticano II tratta di questo tema soprattutto del capitolo VI della Dei Verbum, che ha per titolo ”La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa”. Esso enuncia fin dall’inizio un principio fondamentale (n. 21): “È necessario che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura”. Dopo questa affermazione il capitolo applica tale principio alle traduzioni nelle lingue moderne, alla necessità dello studio profondo dei sacri testi da parte degli esegeti, sottolinea l’importanza della Sacra Scrittura nella teologia e finalmente raccomanda la lettura della Bibbia a tutti i fedeli. Dopo aver infatti raccomandato la lettura della Scrittura a tutti i chierici, in primo luogo ai sacerdoti, ai diaconi e ai catechisti, così continua (n. 25): “Parimenti il santo Concilio esorta con forza e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere la ’sublime scienza di Gesù Cristo’ con la frequente lettura delle divine Scritture”.