Non se ne erano mai visti così tanti. I parti gemellari sono in crescita in tutto il paese, ma alla latitudine del Sangiovese e del Lambrusco il loro tasso è quasi il doppio di quello nazionale. Abbiamo conosciuto in anteprima i dati del prossimo report sulla natalità in Emilia Romagna dove le neomamme con gemelli sono arrivate ad essere quasi il 3%. Tante considerando che fino al 2008 l’incidenza era della metà.
“Tutto ciò è ancora più significativo se si pensa al notevole calo delle nascite in regione dal 2010” commenta il dottore Giuseppe Battagliarin, il quale ha da poco lasciato la direzione del reparto di Ginecologia e Ostetricia di Rimini per la pensione. All’Ospedale Infermi in particolare i parti gemellari sono stati 65 su un totale di oltre 2.900 dello scorso anno”.
Dottore, qual è la causa degli aumenti?
“Siamo una regione con molti centri di procreazione medico-assistita di buon livello. Non tutte le gravidanze gemellari provengono da questo ambito, però 6 su 10 sì. Per esempio, delle gravidanze trigemine (con tre gemelli, ndr) che abbiamo seguito quest’anno a Rimini, a parte una spontanea, le altre erano tutte di donne medicalmente assistite”.
Come giudica questo fenomeno?
“È un problema centrale sul quale si sta lavorando di più all’estero di quanto non lo si faccia in Italia. Bisogna fare in modo che chi ricorre alla procreazione assistita approdi ad una gravidanza singola. Per farlo, occorre lavorare sulla qualità degli embrioni, per far sì che se ne impianti solo uno”.
Perché è bene limitare la gemellarità causata dalle tecniche assistite?
“Perché essa porta con sé un incremento del rischio di parto prematuro, che è ciò che di più si associa all’encefalopatia e alla paralisi cerebrale del bambino. Chi viene alla luce troppo presto incorre in un maggior rischio di sviluppare deficit che incidono nello sviluppo del sistema nervoso centrale”.
Come mai non riusciamo a stare al passo con i paesi stranieri in fatto di procreazione assistita?
“Da noi c’è una certa anarchia da parte dei centri privati, che non sottostanno alle linee guida generali. Rispettano gli standard sanitari in termini di apparecchiature e di controllo igienico-sanitario, ma non il numero di embrioni da impiantare. E poi c’è un altro mondo parallelo che molti non conoscono…”.
Vale a dire?
“Quello dei farmaci. L’induzione dell’ovulazione può essere controllata da centri specializzati che valutano la maturazione dei follicoli e le successive eventuali gravidanze. Ma ahimè c’è anche chi ricorre a metodi più selvaggi attraverso l’uso di farmaci che portano a una pluri-ovulazione, aumentando così il rischio di fecondare più ovuli”.
Chi consente queste pratiche?
“Qualunque medico può prescrivere questi farmaci. Non lo fanno per pazzia, ma perché si trovano di fronte una donna con delle difficoltà di ovulazione che chiede aiuto. Però poi il processo non viene tenuto sotto controllo, a differenza di quanto avvenga in un centro specializzato. Il privato che lo fa in modo estemporaneo può portare a questo tipo di problema. Una cosa è accettare di aspettare un figlio, un’altra è venire a sapere di ospitarne quattro nella pancia”.
E in quest’ultimo caso come ci si comporta?
“È sempre più raro, ma ancora capita che dei genitori ci chiedano una riduzione degli embrioni, pratica che viene effettuata attraverso delle tecniche di selezione. Ciò continua a verificarsi a dimostrazione che il processo della procreazione assistita non è ancora sotto controllo nel nostro paese”.
Che rapporto c’è oggi tra i parti gemellari e il taglio cesareo?
“Quella dei tagli cesarei è una «epidemia» tutta italiana. Nel resto del mondo la loro percentuale è straordinariamente più bassa. Ne facciamo troppi! Per tanto tempo si è pensato che andasse praticato a tutti i casi di riproduzione assistita, sostenendo che il rischio per il bambino fosse pari a zero, ma ciò non è corretto. Posto che tagliare significa sottoporre la donna a un intervento chirurgico, con tutti i rischi del caso, e anche il bambino estratto senza la fase preparatoria del parto naturale subisce uno stress. L’unità operativa di Rimini è una delle poche in Italia che fa nascere la metà dei gemelli per via vaginale. E poi, perché non lasciare alla donna il diritto di partorire e il piacere di vivere la maternità, quando la loro condizione lo consente?”.
Che età hanno le neo-mamme di gemelli?
“Teniamo conto che dalle nostre parti l’età dei primi parti si è notevolmente alzata ed è attorno ai 33 anni. Qualcosa in meno per le donne straniere, qualcosa in più per quelle italiane. Chi viene da una procreazione assistita ha un’età superiore perché ha seguito un lungo percorso, e quindi si trova ad affrontare la gravidanza con due fattori di rischio: l’età e la gemellarità”.
Quanto durano le gravidanze gemellari?
“Tendiamo ad interromperle anzitempo per evitare complicanze. Se i bambini sono contenuti nello stesso sacco ci si ferma attorno alla 34ª settimana ricorrendo a un taglio cesareo. Se i bambini sono in due sacchi distinti ma nella stessa placenta si può prolungare il tempo di altre 2 o 3 settimane e di ulteriori 2 o 3 se sono contenuti in due placente distinte”.
I genitori in genere come reagiscono quando vengono a sapere di aspettare dei gemelli?
“Ci sono due reazione molto diverse. Chi è passato da un centro di procreazione assistita sa che c’è un’alta probabilità che ciò accada. Per gli altri c’è un po’ di sgomento iniziale, soprattutto da parte delle madri. Poi però si sostituisce presto il piacere. Lo spirito è quello dell’«abbiamo avuto questo dono, prendiamolo come tale»”.
Mirco Paganelli