Che cos’è la litania? Il vocabolario italiano recita a proposito: “Serie di invocazioni a Dio o alla Madonna o ai Santi”. Con Roberto Gabellini, riminese, impegnato nel campo della comunicazione e giornalista di cinquantadue anni, la parola acquista – se è possibile – un altro significato. E lo fa con il libro dal titolo La croce non basta (Raffaelli Editore Rimini), la litania è la forma con la quale l’autore esprime il dramma dell’uomo. Un volume (è il libro d’esordio) in tre atti distinti (tre drammi) che analizzano il dolore e la sofferenza umana partendo da quella di Cristo morente, nella sua passione storica e carnale. In questa riscoperta della sofferenza primordiale che tutti noi abbiamo dentro, la croce diventa il punto nevralgico di questo andare alla ricerca continua di qualcosa più grande di noi.
La prima litania è quella dolorosa che si compone di parole strazianti dove la carne e lo spirito trovano quiete solo nella croce: “La croce sale da terra, vuol farsi vedere, adorare/ perché il suo legno possa ancora guarire dal/ veleno mortale; o invece una lancia che miri un/punto preciso nel cielo”. La seconda litania è quella amorosa dove si sprigiona l’amore femminile, quello dolce e perpetuo: “Davanti alla croce piangevano tutti; davanti ai/ chiodo conficcati, al sangue, allo stendardo della/ morte già innalzato, altissimo, a voler bucare il/ cielo. E tutti si chiedevano perché mai l’avesse/ fatto, perché avesse deciso di morire ormai da/ molto tempo”.
Infine la litania quotidiana in cui viene fuori tutta l’impotenza dell’uomo, il suo limite e il suo bisogno di amore continuo. In tutta l’esperienza della croce c’è un solo modo per ritornare a vivere, ovvero ritornare ad amare, imparare ad amarci l’un l’altro in maniera incondizionata.
Non sappiamo se Roberto Gabellini sia riuscito nel suo intento, ma è chiaro che ha riportato alla luce un dolore umano che tutti noi conosciamo. Grazie a una scrittura corposa e precisa Gabellini non si limita a raccontare, ma entra nell’animo del lettore con efficacia, mettendo sempre in parallelo la storia dell’uomo e quella di Cristo. Nati da altrettanti episodi concreti, nelle parole di questi tre brevi brani la sofferenza che abbiamo di fronte tutti i giorni, quella che arriva a sfiorarci, o anche a investirci, quella che ci sembra più lontana, trova la propria analogia e, più, la propria figura in quella di Cristo morente, nella Sua passione storica e carnale. Il nostro sgomento di fronte al Cristo in passione è la rappresentazione del popolo che affannato va alla ricerca della verità, di un appiglio, di uno sguardo amico, di una spalla su cui piangere.
Non perché il mistero sia svelato, o la morte stessa si confessi, ma per sbirciare oltre la porta del dolore, di quella strana sofferenza che porta il nostro nome. Non una spiegazione – ora e per sempre, immutata e immutabile – ma una scoperta, una dolcezza imprevista, uno stupore continuo. Riuscire ad amarsi.
Marzia Caserio