Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Col bollino di riconoscimento. La preghiera cattolica più importante, quella rivolta a Dio Padre, potrebbe diventare presto una giaculatoria senza più alcun riscontro nella realtà di ogni giorno. Infatti il pane artigianale, quello quotidiano appunto, (nulla a che vedere con quello della preghiera però, di ben altro livello), che si produce di notte per garantirne la durata del processo produttivo, e si comincia a sfornare la mattina prima dell’alba, sta diventando sempre più raro.
È un sistema produttivo in estinzione, che persegue la qualità del prodotto, ma che sta scontando la carenza di mano d’opera, il caro-affitti e bollette, la pressione fiscale, che tramite gli studi di settore opprime le imprese di panificazione.
“Questo settore economico sta attraversando una forte crisi – spiega Marcello Para, responsabile del settore Alimentare della Confartigianato di Rimini – aggravata dalla recente legislazione in materia di liberalizzazioni, dalla recessione economica, della forte contrazione dei consumi, dal mutamento in atto da tempo dei costumi alimentari dei consumatori, sempre più orientati al fuori casa, allo snack veloce, e verso un sempre minore consumo di pane, il cui contraltare è la chiusura di molti esercizi”.
Il modello di consumo sta cambiando, a favore della produzione industriale. Va di moda fare la spesa negli ipermercati dove in un unico luogo trovi tutto e a prezzi più contenuti.
“Il cliente è libero di decidere quale prodotto acquistare, ma spesso è poco consapevole di ciò che compra, deve invece sapere che non è possibile equiparare prezzi e qualità del prodotto offerto dai panettieri artigianali, con quello venduto dalle grandi superfici. È una questione di qualità, freschezza, bontà del prodotto. La Regione Emilia Romagna sostiene iniziative commerciali come 1 kg di pane a un euro in accordo con la grande distribuzione. Ma è molto facile per un ipermercato, recuperare economicamente dalla vendita sotto costo, con la quantità”.
Per questo i panificatori riuniti chiedono a gran voce un decreto legislativo che possa tutelare la produzione di pane fresco e artigianale. Una produzione che è stata troppo liberalizzata. Il venir meno della legislazione protettiva ha per assurdo, eliminato anche un sistema per calmierare il prezzo che una volta era concordato tra panificatori di una stessa provincia.
Fornaio a rischio estinzione
In Italia sono circa 25mila le imprese artigiane di panificazione che danno da vivere a 350mila famiglie. Un numero di aziende in calo su tutto il territorio nazionale. Nella provincia di Rimini sono operativi 120 forni, con un migliaio di addetti, che diminuiscono ogni anno. Si producono mediamente 9mila quintali di pane al mese, circa 110mila all’anno. Si punta alla differenziazione dei prodotti, varietà e produzione rigorosamente fresca e giornaliera per la quale i fornai reclamano un bollino di riconoscimento (magari giallo?) da esporre fuori dal negozio. La Confartigianato ha avviato da diversi anni precise strategie, tese a valorizzare i panifici associati e a promuovere il consumo del pane artigianale, sensibilizzando il consumatore d’ogni età, dalle scuole alle piazze.
I panificatori riminesi si sono impegnati da tempo a segnalare ai consumatori la distinzione tra pane fresco e quello ottenuto con processi di congelamento, surgelazione o comunque di conservazione prolungata. È differente acquistare il pane da chi lo produce o da chi lo scongela solamente e lo cuoce. Ed è compito dell’Associazione Panificatori Confartigianato di Rimini assistere e supportare la categoria nel sempre più articolato e complesso ambito gestionale e normativo della loro attività.
“La gente sembra non rendersi conto che il pane artigianale è altra cosa rispetto al prodotto industriale, surgelato o precotto che sicuramente costa meno”.
Ma quanto costa attualmente fare il pane?
Il conto è presto fatto: 1 chilo di farina all’ingrosso 50/60 centesimi di euro, 2/3 centesimi per il lievito che produce 1200-1300 grammi di pane. Per determinare il costo del pane, però, non è sufficiente il riferimento al costo della farina, bisogna aggiungere una serie di voci aziendali di produzione, come: manodopera, energia, trasporto, confezionamento, ammortamento, investimenti. Per un prezzo finale medio dai 3 ai 4 euro al chilo.
“Da 2 anni c’è stato l’aumento tanto criticato del 5/6% ma sono saliti molto di più gas e luce – spiga Davide Cupioli, giovane panettiere – con l’eliminazione della tariffa bi-oraria che ci faceva pagare meno la notte, abbiamo subito un bel salasso. E poi da noi c’è la concorrenza, anche della piadina, che oggi si trova in tutti i supermercati. Puoi tenerla in frigo e diventa un pasto completo”.
Cinzia Sartini