7 dicembre ore 9.30, chiesa parrocchiale di Viserba Monte. Il grande salone sotto la chiesa è occupato interamente da 200 persone in massima parte sposi; i loro figli – una cinquantina – hanno riempito le sale del catechismo. È il primo ritiro diocesano per famiglie, organizzato dall’ufficio diocesano di Pastorale familiare. Il tema è suggestivo: “La coppia nel giardino delle scritture”. Guidano il ritiro due relatori d’eccezione: i coniugi Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, membri della consulta nazionale della CEI per la famiglia, docenti all’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su Matrimonio e famiglia, consulenti e formatori in ambito familiare e relazionale e autori di numerose pubblicazioni. Ma prima di tutto due amici innamorati della Famiglia e della Parola di Dio. Avevamo chiesto ai due amici relatori di accompagnare le coppie presenti in una lettura contestuale della Parola. Convinti che la famiglia non debba essere soltanto istruita e formata alla lettura della Bibbia, ma abbia un suo materiale di vita da cui guardare e leggere la Scrittura.
Gilberto nel suo primo intervento a mo’ di introduzione ha spiegato come sia possibile creare un circolo ermeneutica che cioè interroghi la Scrittura anche a partire dalla struttura familiare. Il movimento auspicabile non è tanto quello di “tirarsi in casa” la Bibbia per una lettura privata (privata della comunità di fede), ma è il movimento opposto: allargare l’orto domestico fino a farlo diventare, a pieno titolo, una parte, sia pur piccolissima, di quel giardino in cui Dio ha sognato di passeggiare insieme alle sue creature.
Nella prima meditazione Mariateresa ha commentato il brano giovanneo che riporta l’episodio della lavanda dei piedi. Come trasformare l’orto, esposto al conflitto di coppia, in giardino dove la diversità dei fiori non sia motivo di competizione, ma di armonia? Dove perfino i difetti dell’altro possono diventare una risorsa buona per la coppia? Gesù stesso ce lo insegna.
“Sapete ciò che vi ho fatto?”. Sapete che il ripeterlo tra voi è la condizione – l’unica! – di “prendere parte” con me? Vi ho onorato come miei ospiti privilegiati; io, Signore e Maestro, mi sono messo a servirvi. Io non giudico la mia sposa, non la voglio “ sistemare “ e mettere a posto: la onoro (promesse matrimoniali) e la servo. La metto, più in alto di me, tanto la contemplo e la amo. E non con le fette di salame sugli occhi, perché conosco bene la sua fragilità e la sua inaffidabilità, insieme al suo desiderio di amarmi.
Anche noi siamo chiamati a servirCi e onorarCi gli uni con gli altri.
Quando lui rincasa la sera, tu moglie, lavagli i piedi: onoralo perché è giunto fino a te, guardalo negli occhi, spia con amore le piccole ferite della sua giornata, i piedi che il “mondo” gli ha impolverato, e mettiti a servirlo. Mettilo sul trono di signore e non seppellirlo subito con le tue lagne sui bambini che non ti hanno lasciato vivere o sulle telefonate di sua madre; onoralo prima come tuo Signore.
E quando tu incontri lei dopo la vostra giornata di lavoro, lavale i piedi, onorala come tua regina e non riempirla di lamentele sul tuo capoufficio o sui tuoi colleghi di lavoro. Non guardare prima se c’è in casa qualcosa che non va, se le cose non appaiono secondo i tuoi desideri e magari la cena non è pronta. Non giudicarla, ma dedicati a lei come se fosse sola nel tuo orizzonte, come se esistesse solo lei da coccolare e servire. Non la servi puntando il dito su quello che non va, ma celebrando il vostro incontro, pulito dalla polvere della strada, pulito da ciò che vi si è incrostato sopra e che nessuno dei due voleva. È che avete camminato e vi siete infangati: ora non vi resta che servirvi a vicenda: « Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri».
Ma come servirci da sposi ? Attraverso il linguaggio sponsale per eccellenza: per la strada della passione e risurrezione; “depose le vesti” e poi “riprese le vesti”.
Deporre le vesti equivale a perdere la vita; perderla non a parole e con le belle intenzioni ma perderla con un «Vieni prima tu» che è la dimensione della nuzialità; perdere la vita come ha fatto Lui, non trattenendo nulla per sé e volontariamente, liberamente (che non significa spontaneamente e senza sforzo). Deporre le vesti significa deporre i propri giudizi e pregiudizi, i propri schemi, il proprio immaginario in cui abbiamo fissato il nostro partner, la nostra coppia e vedere le cose dal punto di vista dell’altro.
Questo dice Gesù: aver parte con me nel riprendere la veste, nella mia risurrezione, è partecipare al mio essere servo per amore.
Gesu ci ha lavato i piedi, ci ha amato e servito nella nostra povera umanità, così noi siamo chiamati ad assumere-amare tutto dell’altro, di nostro marito e di nostra moglie, dei nostri figli, dei vicini, dei colleghi ecc. difetti, virtù, momenti di sole e momenti di ombra, povertà e ricchezze, peccati e grazia. Non si può scartare niente, non si può amare a corrente alternata. Siamo chiamati ad amare l’altro così com’è, senza volerlo cambiare.
L’altro è luogo della presenza di Dio ed io di fronte a lui/lei mi devo “togliere i calzari”e onorarlo perché è sacro.
La seconda meditazione ha avuto come oggetto il brano dei discepoli di Emmaus.
Qui il Signore Gesù dopo averli ascoltati comincia a rivelarsi come lo Sposo che prende per mano la coppia. Parla di sé come Cristo Sposo che conosce la via per entrare nella sua gloria. È la via stretta della croce. Segna la strada proprio a tutte le coppie di sposi ferite e deluse di ogni tempo: la strada della fedeltà. Non la fedeltà semplicemente ai propri buoni propositi assunti il giorno delle nozze, non la fedeltà al nostro progetto, alle nostre attese su come avrebbe dovuto essere. È la fedeltà a Lui, alla strada che porta fuori dal proprio orto. Ma questa è la strada che porta a Gerusalemme, al portare la croce; sapere che l’altro non è come mi aspetto, come credevo di aver diritto che fosse; che il nostro matrimonio non può essere sepolto sotto la pietra dei nostri rigidi schemi, delle nostre aspettative che diventano pretese e poi giudizi di colpevolezza.
E alla fine della giornata lo riconoscono. Hanno trovato lo Sposo. Nei gesti dell’eucaristia, del dono. Un dono senza riserve, senza condizioni, senza misura. Un dono di sé totalmente gratuito. Ecco segnata la strada per la coppia, per ogni coppia : amarsi come ama il Signore Gesù ; amare e guardare l’altro come lo guarda e lo ama lo Sposo. Lo Sposo entrò per rimanere con loro, eppure appena lo riconobbero sparì. Cosa ha a che fare tutto questo con la coppia? È un invito a pensare che il suo sparire sia il suo modo delicato e rispettoso di rimanere. Lo Sposo rimane nelle tracce che lascia, dopo averlo incontrato: innanzitutto il cuore che arde nel petto. Rimane nelle tracce d’amore che ci scambiamo, nel volto dell’altro dove anche vi si nasconde quasi a farsi trovare sempre di nuovo.
Non a chiusura, ma a completamento della giornata di ritiro la liturgia eucaristica presieduta dal vescovo Francesco: una comunità famiglia di famiglie attorno al proprio pastore.
È stato bello vedere i volti delle persone al momento del ritorno a casa, volti pieni di pace, di gioia e di stupore per questo viaggio, fatto grazie a Mariateresa e Gilberto, nelle connessioni tra testo biblico e quotidianità intrafamiliare.
Rita e Cesare Giorgetti