La storia della Cooperativa Sociale Cento Fiori comincia ufficialmente il 7 maggio 1981 con la firma davanti al notaio Enrico Franciosi di diciannove persone. Ma se chiedete a chi c’era e a chi c’è, tutti dicono che “la Cento Fiori è figlia di una manifestazione di piazza”. Se volete leggere un frammento della storia politica e sociale di Rimini, ma anche dell’Italia, alle prese con il dilagare dell’eroina tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80, l’ecosistema Cento Fiori è un buon soggetto da mettere nel vetrino del vostro microscopio.
Nella sua genesi e nel suo percorso c’è il dilagare dell’eroina, un’epidemia che ha travalicato classi sociali, quartieri residenziali e popolari, fazioni politiche, irrompendo nella società riminese e italiana. Per alcuni moda, per altri “il massimo del capitalismo, perché raggiungevi il benessere, non avevi più bisogno di acquistare nulla”, ma per tutti e per tutta la città un calvario inarrestabile, contro il quale non c’erano metodologie codificate e strutture consolidate: tutto era nascente o nato da poco. La lotta all’eroina è una storia di pionieri dove ciascuno cercava una propria via.
Il 7 maggio 1981 la cooperativa nasce come costola operativa del Centro Tutela Salute Tossicodipendenti, un neonato servizio portato avanti da un pugno di giovani medici, sociologi, psichiatri, tra i quali Sandra Caroldi, Massimo Ferrari, Sergio Semprini Cesari, Leonardo Montecchi, William Raffaeli, Loris Tomelli e Fabio Arcangeli. Intorno al loro operato si coagula un collettivo che cerca, con il trascorrere dei mesi, di costruire un Modello Rimini nella lotta alla droga. Un modello che, pur con qualche variante che il tempo inevitabilmente ha portato, continua a vivere nell’attuale Cooperativa Sociale Cento Fiori, sempre riminese nel cuore pulsante, ma con ospiti da tutta Italia con problemi di qualunque dipendenza da sostanza.
Al centro comincino ad arrivare i primi tossicodipendenti che prendevano le fiale di metadone, prescritte dai medici di base. I quali erano in pochi a sapere che era un farmaco che creava dipendenza e che era utilizzato ‘a scopo ludico’.
“Ludico si fa per dire – ricorda Montecchi – con quelle siringone dell’epoca non era un gran che piacevole…”. In ogni caso, con le prescrizioni dei medici si era creato un mercato ‘grigio’ del metadone, che comunque si sovrapponeva al mercato dell’eroina. Al CMAS decisero di utilizzare il metadone come argine per l’eroina, ma non come era stato fatto dai medici di base, in modo inconsapevole. Centralizzarono la distribuzione e nello stesso tempo eliminarono le fiale per trasformarle in sciroppo nella farmacia dell’ospedale, questo perché togliendo la siringa si poteva “togliere il gusto del buco”.
L’eroina ‘sparata’ nelle vene provoca un effetto potente chiamato flash.
“Sapevamo di esperienze di trattamento delle dipendenze con il metadone in sciroppo nelle cliniche statunitensi degli anni ‘60 e dal lavoro di Vincent Dole e Marie Nyswander a New York – ricorda Montecchi – Usavamo il metadone secondo la farmacopea perché le persone si staccassero dal sistema criminale. Chi fa uso di eroina diventa spesso un piccolo spacciatore, si da ai furti, è portato ad avere una vita ai margini per approvvigionarsi della sostanza. Come CMAS ci eravamo pensati come un collegamento che permettesse a queste persone di non emarginarsi totalmente, se uno voleva totalmente disintossicarsi o cercare di inserirsi nel mondo del lavoro. Cercavamo di aiutare gli utenti a non valicare il confine di una doppia società, ovvero la società dei garantiti e quella dei non garantiti”.
Azioni di riduzione del danno ‘ante litteram’, ma anche azioni politiche.
Perché il CMAS non era un Fort Apache in mezzo al nulla. Si era creata una rete di persone che sentivano la presenza di questo morbo e non si rassegnavano a vedere le vittime nelle sue spire. Una rete di persone comuni sensibili al problema o che assistevano amici, colleghi di lavoro ospitandoli a casa mentre cercavano di disintossicarsi, sistemandoli dove si poteva, anche sul divano.
Lo facevano in tanti, lo faceva anche un certo Werther Mussoni, sindacalista dell’Enel e attivista della Gioventù Operaia Cristiana, che ogni tanto andava al CMAS a chiedere consigli per l’amico eroinomane che, insieme alla moglie Anna, e ai due figli piccoli, ospitavano in casa. Ritroveremo Werther pochi mesi dopo il 7 maggio 1981, quando la cooperativa Cento Fiori ha bisogno di passare da una ragione sociale a una entità vera.
Il CMAS non era l’unico centro del lavoro del collettivo in formazione, coinvolgendo tossicodipendenti, familiari, persone socialmente attive. Una propaggine operava nel reparto di Rianimazione, dove ricorda il medico William Raffaeli, “grazie alla disponibilità del primario Franco Grifoni, c’era la disponibilità di posti letto dedicati alle tossicodipendenze. Appena due, ma eravamo uno dei primi ospedali italiani per ricoveri per disintossicazione controllata. Noi usavano le sedazioni impegnative e disintossicavamo con la Clonidina, che blocca i recettori dell’astinenza, fermando le manifestazioni astinenziali. Era questo uno degli aspetti che ci dividevano dall’esperienza di San Patrignano: bastava poco per tenere sotto controllo i segni dell’astinenza. Erano difficili da gestire invece le componenti dell’angoscia ed una serie di complessità: avevamo bisogno di una sedazione molto potente e il reparto di Rianimazione aveva tutti i farmaci e la copertura sempre presente”.
Arriva il 7 maggio 1981, in 19 siglano la nascita della Cento Fiori e il primo presidente è William Raffaeli. L’idea di fondo è che attraverso il lavoro ci si emancipa dalla dipendenza. Ma dopo un po’ ci si rende conto che gestire una cooperativa è un lavoro a tempo pieno e il collettivo coinvolge quel Werther Mussoni che si affacciava al CMAS per aiutare un amico nei guai.
È la svolta. La Cento Fiori anno dopo anno si consolida. Nel febbraio del 1985 un prefabbricato che ospitava terremotati, viene smontato in Friuli e montato a Vallecchio: è l’embrione della Comunità Terapeutica, dove già si coltivano i campi del podere Fantini e si allevano due mucche, Punto e Virgola. Sono sette i primi ospiti, tutti riminesi. E i primi cinque operatori, psicologi ed educatori che lavorano con Mussoni sono stati anche fattori, muratori, elettricisti, contadini, giardinieri: Sandro Poggi, Caterina Staccioli, Alberto Meluzzi, Cabiria Tiraboschi, Patrizia Barchiesi.
Da allora, la stalla è diventata una Scuderia Cento Fiori, accanto è nato il Canile di Vallecchio e un ambulatorio veterinario, con la cooperativa che gestisce anche il Canile comunale di Rimini Stefano Cerni e un servizio di recupero di animali domestici. La Comunità Terapeutica si è allargata e un decennio fa, è diventata di proprietà della Cooperativa. Per gemmazione, all’inizio del nuovo millennio, è nato un Centro Osservazione e Diagnosi, sempre a Vallecchio, con pazienti da tutta Italia, mentre pochi anni dopo la Cento Fiori ha acquisito un altro Centro Osservazione e Diagnosi, L’Airone, ad Argenta, Ferrara.
Completano i servizi il Centro Diurno di Rimini e due gruppi appartamento, che accompagnano i pazienti nel loro reinserimento nella vita di tutti i giorni. I settori lavorativi ed ergoterapici continuano ad affiancare le terapie, con La Serra Cento Fiori a Rimini e la tipografia digitale, che impiegano anche persone diversamente abili, mentre da dieci anni il patrimonio di esperienza nell’accoglienza delle persone è stato impiegato anche nel supporto ai richiedenti asilo.
Enrico Rotelli