La Banca Popolare Valconca compie 100 anni, e come regalo di compleanno, le è stato dedicato un libro che ripercorre tutta la sua storia. Che non è semplicemente la storia di un’azienda di credito, ma è soprattutto la storia della popolazione di un territorio orgoglioso della propria identità e fiducioso nelle proprie potenzialità di sviluppo.
Il testo Valconca. Cento anni con la Banca Popolare nato dalla penna del professor Giuseppe Mosconi, dopo un primo excursus sull’ambiente e le risorse della Valconca, inizia a raccontare la nascita dell’istituto di credito. L’anno è il 1910. Il luogo è Morciano, un piccolo paese, quasi al confine fra Romagna e Marche, che all’epoca contava poco più di duemila anime. Gli autori del “fatto” furono gente normale: dodici ardimentosi, tra cui cinque preti, tre agricoltori, tre commercianti e un tabaccaio.
I dodici fondatori
I dodici soci fondatori si presentarono, la mattina del 13 agosto, presso lo studio del notaio Alfredo Nanni, in via Borgo Mazzini, 31, per costituire l’atto della Banca Cooperativa Morcianese, società anonima cooperativa di credito. La presenza di cinque sacerdoti tra i fondatori mostra chiaramente che l’iniziativa nasceva in ambito cattolico. E, infatti, tra i dodici, il principale promotore dell’iniziativa fu il parroco di Morciano, don Alessandro Ceccarelli, che assunse gli incarichi di consigliere, direttore e segretario, prendendosi cura, tra l’altro, delle pratiche necessarie per il regolare inizio dell’attività. Dopo la costituzione legale della Banca Cooperativa Morcianese, si dovette attendere alcuni mesi prima dell’effettivo avvio dell’attività, che avvenne il 1 febbraio 1911. In occasione dell’apertura, fu pubblicato e diffuso un manifesto, nel quale si indicavano gli orari di apertura al pubblico: tutti i giorni, tranne i festivi, dalle 9 alle 13 e anche nel pomeriggio dalle 14 alle 16, ma soltanto nei giorni di fiera o mercato. Nel manifesto erano anche indicati il tasso sulle operazioni di deposito e prestito, la composizione del Consiglio di amministrazione e la ripartizione degli utili annuali. Nel 1912 si dovette stabilire, però, che nei giorni di mercato, per regolamento, non sarebbero state possibili operazioni di importo rilevante, per non rischiare prelievi o prestiti che avrebbero portato la banca alla morte per asfissia!
La caccia all’impiegato
Tra le principali iniziative della Banca appena nata, ci fu quella di ricerca di validi impiegati, diplomati ed esperti. Fu don Ceccarelli ad assumersi l’incombenza della ricerca di un “ragioniere patentato”, e inizialmente chiese aiuto al Piccolo Credito Romagnolo di Rimini, nel caso avessero un dipendente da consigliargli. La risposta non fu buona, poiché il Credito Romagnolo replicò che: “non è possibile trovare un giovane non troppo giovane e abbastanza intelligente, che voglia trasferirsi da qui a Morciano (..), ma nonostante le poche speranze, starò in allarme”. Qualche speranza, però, evidentemente c’era, dato che don Ceccarelli assunse il giovane Cesare Rossi, allora diciassettenne, con l’incarico di contabile. Il Rossi ebbe un ruolo importante nello sviluppo della Banca, di cui divenne in seguito anche direttore. Un’altra figura importante fu il dottor Pompeo Grassi, farmacista, che fu assunto con la qualifica di cassiere.
Il primo compleanno
Nel febbraio 1912 il Consiglio di Amministrazione poteva tirare le somme del primo anno di attività. La raccolta del risparmio, al 31 dicembre 1911, vedeva un totale di lire 156.082, ma i prestiti ammontavano a 144.103 lire, con un utile netto di sole 538,24 lire. I soci erano in tutto 48. Dal 1912, però, fu possibile registrare un notevole progresso, che continuò anche nei due anni successivi. Nel 1914 un periodico economico di Milano Il Mondo Moderno Economico Finanziario pubblicò un articolo dal titolo Banca Cooperativa Morcianese in Morciano di Romagna. Vigoroso sviluppo di un piccolo istituto romagnolo, in cui veniva fatto un elogio dei brillanti risultati raggiunti in pochi anni dalla Banca. In effetti, nel 1914 si lavorava con un buon ritmo. Il nuovo direttore, Pompeo Grassi, era un uomo innovativo e brillante, che diede prova di un notevole attivismo. Fece dotare gli uffici della Banca di illuminazione elettrica in sostituzione della vecchia illuminazione a gas acetilene, e fece acquistare la prima macchina da scrivere dell’ufficio. Grande attenzione era posta anche all’assegnazione della beneficenza, che dal 1913 cominciò a essere distribuita nella misura del 35% dell’utile netto. Questo processo di crescita così promettente fu bruscamente interrotto dalla Prima Guerra Mondiale. L’utile, fino a tutto il 1918, rimase inferiore ai valori del 1914. Eppure si va avanti. Miracolosamente (nei verbali della Banca si legge tantissime volte la parola “Provvidenza”), dopo la guerra, la crisi economica del 1929 e il Ventennio fascista, si trovano sempre le forze per ripartire. Nell’immediato secondo dopoguerra la situazione economico-finanziaria in Italia rimase molto difficile, ma sul finire degli anni Quaranta lo sviluppo della Banca andò incrementandosi fino a uscire dal territorio morcianese.
La crescita oltreconfine
All’inizio degli anni Cinquanta, la Banca incorporò prima la Cooperativa Saludecese, poi la Cooperativa Mondainese e nel 1957 il nome diventò quello attuale: Banca Popolare Valconca. Da allora, l’ascesa fu continua: l’apertura delle filiali di Cattolica, Misano e Riccione fino allo sportello di Rimini, inaugurato nel 1983. Oggi la Banca Popolare Valconca conta trenta filiali, più di 4mila soci e un’importante solidità patrimoniale.
Qual è il segreto di tanta longevità? Secondo l’avvocato Massimo Lazzarini, Presidente della Banca Popolare Valconca, la ricetta è semplice: “stare lontani dalla grande finanza e puntare tutto sull’economia reale e sul capitale umano”.
Genny Bronzetti