Il carcere è una scuola dove apprendi le “tecniche” per non tornarci più. E proseguire una vita lungo il piano inclinato della delinquenza. Edoardo, 24 anni, due condanne per spaccio e tentata rapina, non ha dubbi: “dietro le sbarre il tempo è senza senso, si attende solo il fine pena. E di certo non aiuta a rimuovere le cause e la rabbia che ti conducono a delinquere”.
Edoardo è uno dei detenuti che hanno marciato dalla Casa Circondariale al Duomo di Rimini in occasione del quarto pellegrinaggio “Fuori le sbarre”. Accanto a lui altri ottanta detenuti, di cui due ostativi, quelli cioè del “fine pena mai”. E ancora ex carcerati, operatori e volontari impegnati nel sostegno dei detenuti, tutti insieme per promuovere la cultura del perdono dietro allo slogan: “Non c’è sicurezza senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono!”.
“Ogni giorno alla Casa Madre del Perdono dove svolgo la pena alternativa, frequento un gruppo di lavoro per scoprire perché abbiamo iniziato a delinquere – prosegue il ragazzo cileno – Io ho capito che non volevo soldi, in realtà mi bastava una famiglia che mi volesse bene per come ero”. Per arrivare a questa sconvolgente, semplicissima verità, Edoardo si è incamminato su di un percorso molto arduo.
Originario del Cile, in Italia è arrivato all’età di 7 anni grazie all’affidamento di una famiglia di Ancona. Padre assente, madre poco stabile e nervosa, la nuova famiglia si è rivelata fallimentare. La separazione ha acuito i problemi, Edoardo è finito in collegio a Lodi. Il ritorno ad Ancona, i lavori serali in nero, il conseguimento del diploma al liceo scientifico: il tentativo di ripresa si scontra con un nuovo abbandono da parte della madre. Risultato: spaccio di droga, arresto a 21 anni e un anno e due mesi di pena con la condizionale. La pena è sospesa dopo una settimana dietro le sbarre ma la convivenza con una ragazza tossicodipendente, l’aborto deciso da lei e l’incapacità di smettere la roba, sono un’altra mazzata per il ragazzo. Edoardo prova ad afferrare la vita con un coltellino. Rapina in un supermercato di Ancona, dopo 20 minuti è già in arresto. “Ora sto scontando i 2 anni che mi han dato”. Dopo cinque mesi, Edoardo ha accettato la proposta di scontare la pena in alterntiva alla Casa Madre del Perdono di Montecolombo. Non è una scorciatoia, ma vera rieducazione. “In cinque nel 2012 han preferito tornare dietro le sbarre” fa notare Giorgio Pieri, il responsabile della struttura dal 2004 esempio di alternativa alla galera. “La società si illude che il carcere sia la risposta e garantisca il diritto alla sicurezza. – rincara la dose Pieri – In realtà le statistiche dicono che il 75% dei detenuti una volta fuori dal carcere torna a commettere lo stesso reato o di più gravi”.
“Dobbiamo gridare a tutti che il carcere va superato, riconvertito in comunità in grado di accogliere sul territorio chi ha sbagliato e deve riparare” è la proposta di Giovanni Paolo Ramonda. Il responsabile generale della Papa Giovanni XXIII fa parlare i numeri. “Il nuovo Governo si prenda cura del dramma carcerario. È necessario che i detenuti si riconcilino con se stessi e con le vittime dei reati, e con costi minori per lo Stato”. L’esperienza della Casa Madre del Perdono dice che è possibile. Nel 2012 ha accolto 103 recuperandi facendo risparmiare allo Stato 8mila euro al giorno e abbassando la recidiva al 10%. “Le pene alternative sono la soluzione definitiva” taglia corto Mauro Cavicchioli, responsabile Servizio Carcere APGXXIII.
Paolo Guiducci