Un paese dove ogni giorno aprono “compro oro” e chiudono le redazioni dei giornali è un paese destinato a impoverirsi di democrazia. E se il vento continuerà a tirar di traverso fra non molto anche a Rimini accadrà purtroppo ciò che già accade in gran parte dell’Italia. Proprio nei giorni scorsi sono arrivati al Ponte i contributi stampa del 2011. 43.000 euro contro i 74.000 dell’anno precedente. Ed i prossimi anni il taglio sarà progressivo fino all’annullamento del contributo. Ben più grave sarà la situazione di certi giornali locali, dove fino ad oggi il contributo non era calcolato sul numero delle copie (come per i settimanali cattolici), ma sul fatturato.
Sappiamo che non è un tema facile. Il vento dell’antipolitica spira forte. E tutto quello che ha a che vedere con i contributi statali puzza inevitabilmente di marcio. È così anche per il «fondo per l’editoria» regolato da una legge – la 250 del 1990. Avrebbe dovuto garantire il pluralismo dell’informazione, schiacciato in Italia dal duopolio televisivo, dal drenaggio sistematico delle risorse pubblicitarie. E compromesso da problemi atavici, che hanno sempre collocato il nostro Paese in fondo alle classifiche di diffusione e lettura di quotidiani e settimanali. L’Italia dei mille campanili, delle tante identità locali, vive anche di questo tessuto di piccoli giornali o di periodici che non possono competere con i giganti delle concentrazioni editoriali. È una questione di cultura e anche di democrazia.
Ma già quando il «Fondo per l’editoria» fu istituito ci si fece velo di queste nobili intenzioni fondamentalmente per elargire soldi ai partiti. Su circa 150 milioni di euro, poco meno di nove milioni sono andati ai 136 periodici editi da Fondazioni, enti morali o cooperative che non hanno fini di lucro. Una decina a quotidiani per gli italiani all’estero o per minoranze linguistiche. Tutto il resto è destinato a giornali o periodici di cooperative di giornalisti (56 milioni) a quelli che prima o dopo si sono agganciati a qualche partito o movimento politico (40 milioni) o ai quotidiani editi da cooperative, fondazioni o enti morali (altri 42 milioni).
Che ci sia da fare pulizia in questi elenchi la Fisc, la Federazione dei settimanali cattolici, lo sostiene da sempre. Perché un conto è sostenere la democrazia informativa e un’altra cosa è sperperare denaro pubblico per foraggiare editori di giornali «fantasma». Ma con la politica dei «tagli lineari», a tutti la stessa percentuale, è come se di fronte allo scandalo dei falsi invalidi si dimezzasse la pensione a tutti, anche a chi invalido lo è davvero. Bella giustizia.