Non so come gli sia venuto in mente, ma le cose migliori le fa sempre alla rovescia: acceca per illuminare, divide per moltiplicare, abbassa per esaltare, dona per essere ricco, diventa onnidebole per “fare l’Onnipotente”, perdona per vendicarsi, muore per dare la vita… È fatto così il nostro Dio; e così fa anche alla Messa!
Lo Spirito Santo, infatti, invocato sul pane e sul vino affinché diventino Corpo e Sangue di Cristo (Epiclesi, v. Catechesi precedente), anziché mostrare la sua potenza, ombra quei doni nel gesto dell’imposizione delle mani da parte del sacerdote.
Coprire anziché svelare sembra proprio un “vizio” dello Spirito Santo, nella cui potenza Dio agisce: aleggiava, o meglio, “covava” sulle acque (Gn 1,1), anziché accendere la miccia del grande botto (big-bang); guidava il popolo d’Israele nel deserto come colonna di nube, anziché come faro abbagliante (Es 13,21); parlò ad Elia nella brezza del vento leggero, anziché nel fragore del tuono (1Re 19,12); sul Tabor adombrò i discepoli per illuminarli con la voce del Padre (Mt 17,5).
L’imposizione delle mani o chirotesia (dal greco keiros = mano e tithemi = porre) o chirotonia (keiros = mano e teino = tendere) è forse il gesto liturgico più importante per le sue forti radici bibliche; per alcuni sacramenti (cresima e ordine) assume addirittura dignità sacramentale, cioè è essenziale per la loro validità. Nella Messa è compiuto solo dal sacerdote per l’Epiclesi e la Benedizione finale.
Si tratta di un gesto pneumatologico, legato all’azione dello Spirito Santo (dal greco >pneuma = spirito) e quindi può assumere diversi significati come diverse sono le azioni dello Spirito di Dio.
Il primo significato è certamente quello di santificare, cioè comunicare lo Spirito Santo: vediamo Paolo, Pietro e Giovanni imporre le mani a coloro che avevano ricevuto solo il battesimo nel nome del Signore Gesù (At 8,17-19; 19,6); gesto poi confluito nel Rito della Cresima, in cui il vescovo impone le mani a tutti i cresimandi prima di ungerli con il crisma (anch’esso benedetto con l’imposizione delle mani il Giovedì santo!). Sulla stessa linea e con valore consacratorio lo ritroviamo nella Messa, fin dal III secolo, per la preghiera dell’Epiclesi.
Un secondo significato è quello di comunicare la benedizione di Dio, come quando Gesù imponeva le mani ai bambini pregando su di essi (Mt 19,13-15; Mc 10,16) e come quando le stese sui discepoli prima di ascendere al Cielo (Lc 24,50); lo stesso gesto con cui il suo patriarca Giacobbe benedisse i figli di Giuseppe (Gn 48,14) e il sacerdote Aronne il popolo d’Israele (Lv 9,22). Lo ritroviamo infatti nella Benedizione finale e solenne della Messa e quando il sacerdote congeda l’assemblea con le “Preghiere di benedizione sul popolo” (Rito della Messa). Con lo stesso significato è previsto dai Riti di Benedizione, soprattutto dei bimbi e dei malati, come riporta il Benedizionale: «Tra i segni di benedizione ha un posto particolare l’imposizione delle mani, sull’esempio di Cristo […]; è Cristo stesso che nella Chiesa e per mezzo della Chiesa compie ancora questo segno» (26b). Allo stesso titolo è presente nel Rito di Consacrazione delle vergini (n. 38) durante la preghiera consacratoria.
L’imposizione delle mani è anche un gesto di guarigione: vediamo Gesù imporre le mani ai malati per comunicare loro la potenza vitale di Dio (Mc 6,5; 8,23.25; Lc 4,40; 13,13); lo comanda agli apostoli nel conferirgli il mandato di guarire i malati (Mc 16,18; At 9,17; 28,8). Un gesto confluito quindi nel Rito di Unzione degli infermi, quando i presbiteri pregano in silenzio sul capo dei malati prima di ungerli, e previsto (dal III secolo) anche nel Rito della Penitenzadurante la preghiera di assoluzione (n. 19). A titolo di esorcismo il sacerdote impone le mani ai catecumeni nelle preghiere degli scrutinii (Ippolito, Traditio apostolica) e nel Battesimo dei bambini può sostituire l’unzione con l’olio dei catecumeni.
Un ultimo significato, ma non per importanza, è quello di comunicare l’autorità e il potere di Dio e dare così pastori al popolo di Dio: vediamo Mosè imporre le mani a Giosuè per colmarlo dello spirito di saggezza prima che prenda il suo posto (Dt 34,9; Nm 27,18); gli apostoli impongono le mani ai primi 7 diaconi (At 6,6) e poi Paolo e il collegio dei presbiteri al giovane Timoteo (1Tm 1,6; 4,14). Gesto confluito nei Riti di Ordinazione episcopale, presbiterale e diaconale, in cui il vescovo, in silenzio, impone le mani sull’eletto in ginocchio davanti a lui, come se le sue mani fossero il prolungamento di quelle di Dio.
E allora? Allora quando vediamo un sacerdote o un vescovo imporre le mani a qualcuno o su qualcosa ci dovrebbero tremare le gambe! In quel gesto sappiamo che lo Spirito Santo è in azione, anche se alla rovescia, come aveva ben intuito anche Tertulliano: «La carne è adombrata dalla imposizione delle mani perché l’animo sia illuminata dallo Spirito» (Sulla risurrezione dei morti8,3).
Elisabetta Casadei
* Le catechesi sono raccolte in E. CASADEI, Tutto (o quasi) sulla Messa, Effatà 2014