L’avevamo detto timidamente, a mezza voce, nel novembre scorso, quando il Papa aveva inviato il riminese monsignor Celli in Venezuela per mediare un accordo di pace fra Congresso e presidente Maduro, fra Governo e popolo venezuelano. Con cautela parlavamo di semidittatura e di pericolo di guerra civile. Oggi la situazione parla da sé, senza più bisogno di parole misurate: Venezuela sta precipitando in una dittatura, con i segni di una sanguinosa guerra civile.
I nostri media che per tanto tempo sono rimasti indifferenti alle vicende di quel Paese, ora si stanno accorgendo che qualcosa di grave sta esplodendo. Purtroppo non è una grossa sorpresa: ce lo confermavano continuamente gli amici rimasti a lavorare in Venezuela.
E poi c’erano i fatti: la delusione e la rinuncia alla mediazione diplomatica dell’arcivescovo Celli, l’accorato appello dei Vescovi venezuelani al Papa, la testimonianza sofferta del cardinal Porras.
Monsignor Porras trovandosi in Italia, ha accolto l’invito fraterno dell’amico don Aldo Fonti di venire a Rimini a testimoniare direttamente la situazione e le prospettive sociali, economiche e politiche del Venezuela.
“La situazione in Venezuela è da mesi drammatica e la popolazione è allo stremo – esordisce il cardinale senza giri di parole -. Forse per la maggioranza degli italiani questa situazione risulta incomprensibile, dal momento che, dopo la seconda guerra mondiale, a migliaia hanno emigrato in Venezuela. La democrazia fino alla metà degli anni Settanta è riuscita a portare il paese a un buon livello di crescita e di progresso. Poi sono arrivati i grandi proventi del petrolio (sopra i 100 dollari al barile agli inizi del 2000) che hanno portato qualche effimero beneficio alla gente e soprattutto il dilagare della corruzione, peggiore di quella per la quale si era battuto Chavez nel suo fallito golpe”.
Monsignore, dopo il golpe e la prigionia, Chavez è stato eletto democraticamente dalla stragrande maggioranza del popolo…
“È vero. Il popolo era stanco di una classe dirigente corrotta e lontana dai suoi interessi. Questa situazione ha prodotto un disincanto nella popolazione e ha fatto sì che il discorso populista e rivendicativo di Chavez calasse profondamente tra la gente e potesse così giungere a governare legittimamente dopo il fallito golpe. Ma. come ho detto, la corruzione di dopo si è rivelata peggiore di quella di prima”.
E i soldi del petrolio dove sono andati a finire?
“La maggior parte sono stati utilizzati per comprarsi l’appoggio e il voto di altre nazioni negli organismi internazionali, ma anche per comprare armamenti bellici, giustificandoli necessari per la difesa della sovranità. E poi, ancora una volta, per il sistema di corruzione interno, per rafforzare il potere del Governo e indebolire le istituzioni democratiche”.
Oggi i nostri media incominciano a parlare frequentemente della situazione del Venezuela e delle manifestazioni di piazza. Perché la gente protesta tanto energicamente, quando proprio loro hanno eletto questo governo?
“Perché la gente incomincia a rendersi conto che la situazione di estrema precarietà in cui si trova è causata proprio dal malgoverno. Negli ultimi due anni la mancanza di alimenti, medicine, assistenza sanitaria, la crescita della delinquenza e della impunità, hanno raggiunto cifre allarmanti, a cui si aggiunge una forte migrazione di più di 2 milioni di venezuelani, in gran parte con formazione universitaria”.
Ai tempi di Chavez, anche se il dialogo risultava difficile, tuttavia una qualche parvenza di democrazia si poteva intravvedere. Quando è iniziato questo contrasto così infuocato col successore Maduro?
“Direi a partire dal 2011. L’attuale governo è stato qualificato da analisti internazionali come un governo di pirati e di delinquenti, e non di estrema sinistra o comunista come qualcuno vorrebbe far credere. L’ideologia di sinistra serve al governo solo da facciata per apparire vicino ai poveri, contro gli imperi politici ed economici dei ricchi, e anche per giustificarsi davanti all’opinione internazionale”.
Lei è vescovo e da qualche mese anche cardinale; dunque un’autorità nella Chiesa e non solo in quella venezuelana. Cosa può dire la Chiesa di fronte a queste situazioni?
“L’episcopato venezuelano, in uno dei suoi documenti, ha segnalato che ci troviamo davanti ad un regime che può essere catalogato antiumano, perché non rispetta i diritti fondamentali che siamo obbligati a rispettare tutti, autorità e cittadini. Si tratta di un regime moralmente inaccettabile ed eticamente illegittimo, nell’esercizio delle sue funzioni”.
Dunque, fondamentalmente si tratta, per la Chiesa, di un problema morale?
“Se non comprendiamo che c’è un problema morale che coinvolge tutte le persone e le strutture che vivono nella società venezuelana, qualsiasi soluzione alla crisi sarà congiunturale e provvisoria, giacché il risanamento istituzionale e la riconciliazione sociale non si produrrà. In sintonia con la richiesta fatta da papa Francesco, la Chiesa venezuelana nel suo insieme ha ribadito che la soluzione alla crisi attuale del paese ha bisogno necessariamente delle seguenti condizioni: libere e democratiche elezioni, liberazione dei prigionieri politici, riconoscimento dell’Assemblea Nazionale, apertura all’aiuto umanitario internazionale”.
C’è una via d’uscita a questa situazione?
“Per uscire da questo regime senza speranza, c’è bisogno quanto prima di un governo nazionale di transizione che prenda, in maniera straordinaria, misure di emergenza e convochi elezioni democratiche, previo risanamento, con la rimozione degli illegali magistrati del Tribunale Supremo di Giustizia. Abbiamo bisogno di affrontare con appoggio internazionale la crescente emergenza umanitaria, tipica di un dopoguerra: liberare tutti i prigionieri politici, riaprire le porte agli esiliati, convocare gli impresari per riattivare la produzione e attirare gli investimenti con un nuovo spirito democratico”.
Per quanto tempo durerà la lotta fratricida che conta già una novantina di morti?
Egidio Brigliadori