Un “ospedale da campo”. È l’immagine usata da papa Francesco per dire la missione della Chiesa: soccorrere e sanare i cristiani e gli uomini che sono in fin di vita. Credo allora che il reparto più grande di questo ospedale sia quello oculistico, perché come confidò la volpe al Piccolo Principe: «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale e’ invisibile agli occhi». Per ispirazione lo aveva ben intuito molto prima anche san Paolo: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1Cor 2,9).
È proprio ciò che viene a dirci l’Epiclesi, il terzo tassello della Preghiera Eucaristica dopo il Prefazio e il canto del tre volte Santo; l’atto con cui la Chiesa invoca la potenza dello Spirito Santo: «Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore» (II Preghiera Eucaristica).
Con l’Epiclesi (dal greco epikaleo: epi = sopra e kalein = chiamare, ossia invocare) la Preghiera Eucaristica non rimane solo azione di grazie, come è stata finora nel Prefazio e nel Santo (vedi Catechesi, 62.63), ma diviene azione di santificazione (OGMR, 78), nel senso che rende divino ciò che finora è solo terrestre, creato: il pane e il vino; e compie ciò che è impossibile all’uomo: vincere il peccato e la morte e diventare Dio. Queste sono infatti le due finalità, profondamente invisibili, per cui la Chiesa nell’Eucaristia invoca la potenza dello Spirito Santo, il Santificatore: «consacrare i doni offerti dagli uomini perché diventino il Corpo e il Sangue di Cristo e perché la vittima immacolata, che si riceve nella Comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno», OGMR, 79c.
Da questo momento, in unione con la Chiesa celeste “intra-vista” nel Santo, si prende atto che la Liturgia Eucaristica è opera di Dio e non dell’uomo. Ora accade ciò che l’uomo non può più dire, né fare (pregare, cantare, offrire, proclamare, ascoltare), ossia realizzare la salvezza, che ha un solo nome e un solo contenuto: Cristo morto e risorto e datore dello Spirito Santo ai credenti. Da questo momento le tre Persone divine, Padre, Figlio e Spirito Santo “scoprono le carte” e mostrano la loro azione sinergica, che avvolge tutta l’assemblea. Senza la potenza invisibile dello Spirito Santo con cui il Padre e il Figlio operano, le preghiere del sacerdote rimarrebbero flatus vocis, il pane pane, il vino vino e noi fedeli un’accozzaglia litigiosa incapace di amarci e di amare.
Per questo ora l’assemblea si mette in ginocchio, compreso il diacono (OGMR, 43. 179; Principi e Norme Messale Romano. Precisazioni Cei, 1), è suonato un campanello per destare l’attenzione (OGMR, 150) e solo il celebrante pronuncia l’epiclesi nella Persona di Cristo, imponendo le mani sui doni, il gesto biblico con cui è effuso lo Spirito Santo, e tracciando un segno di croce su di essi (OGMR 147; Rito della Messa).
Realizzando una doppia finalità, consacrazione e santificazione, le Preghiere Eucaristiche distinguono in genere due epiclesi: una consacratoria sul pane e sul vino e una detta di santificazione o di comunione sui fedeli, dopo la consacrazione, affinché essi diventino «un solo corpo e un solo spirito».
Se la prima epiclesi ce l’hanno insegnata abbastanza bene al catechismo, non può dirsi altrettanto della seconda. Di che cosa si tratta, allora?
Nell’epiclesi di santificazione lo Spirito Santo continua a fare il Corpo di Cristo: se effuso sul pane e sul vino li rende Corpo e Sangue di Cristo, effuso sui fedeli li trasforma nel Corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa, il Popolo di Dio.
In ogni Eucaristia, allora, la Chiesa diviene più Chiesa, più bella, più simile a Cristo, perché la trasformazione di quei doni in Corpo e Sangue di Cristo è volta alla trasformazione dei cristiani, che li assumono quali cibo e bevanda spirituali: «Siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1Cor 12,13). Questa è la nostra vocazione, la grande chiamata del Padre, la gloria di Dio(!): «a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane e berranno di quest’unico calice, concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria» (II Epiclesi, IV Preghiera Eucaristica).
Se finora la Chiesa si è riunita per fare Eucaristia, ora l’Eucaristia fa la Chiesa, secondo la felice espressione del teologo De Lubac.
Le conseguenze sono tremende: chi “mangia Cristo”, “mangia anche il fratello”, diventando un solo Corpo anche con lui: “giudeo o greco, schiavo o libero”, vale a dire, europeo o extracomunitario, di destra o di sinistra, operaio o imprenditore, ecc.
Da qui, l’utilizzo nella Messa, fin dai tempi apostolici, di un solo pane, affinché fosse visibile, ciò che accade invisibilmente: «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,17).
Elisabetta Casadei
<* Le catechesi sono raccolte in E. CASADEI,
Tutto (o quasi) sulla Messa<+cors>, Effatà 2014