Lotte gladiatorie, si sa, l’anfiteatro di Rimini non ne vede da tempo, ma non si può certo dire che abbia trovato pace. Molte questioni sono ancora aperte, in primis il fatto che è ancora per buona parte sepolto sotto le strutture del Centro educativo italo-svizzero (CEIS). I resti visibili si affacciano sulla trafficata via Roma, presentati da alcuni cartelli che ne raccontano la storia. Chi si fermasse a leggerli scoprirebbe che le dimensioni esterne dell’anfiteatro di Rimini corrispondono a 117,7 x 88 metri, mentre l’arena interna occupa un’area di 76,40 x 47,40 metri. Misure che forse, presentate così, non sembrano significative, ma che se confrontate con quelle del noto Colosseo (187,77 x 165,64 metri esternamente e 77 x 46,50 per l’arena) non sfigurano affatto. Il colosso romano deve la sua maestosità anche al numero delle scalinate: cento, invece delle trenta dell’anfiteatro riminese. Ma le dimensioni dell’arena differiscono di poco, tanto che pare che a Rimini il complesso potesse ospitare diverse migliaia di persone.
Da sempre, la storia dell’anfiteatro riminese è stata piuttosto travagliata, se si pensa che già ai tempi del tardo impero, persa la sua funzione di luogo di spettacolo, fu incorporato nelle mura della città per svolgere funzioni di difesa, trasformandosi nel corso degli anni da cava di pietre a sede di un lazzaretto. Col passare del tempo la sua sorte non è migliorata: dopo un parziale recupero grazie allo storico Luigi Tonini nella prima metà dell’800, l’anfiteatro ha dovuto affrontare i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Bisognerà attendere gli anni sessanta per più profondi interventi di recupero e valorizzazione.
Al momento, il resto dell’anfiteatro si presume sia ancora sepolto sotto le strutture del CEIS. E proprio per questo il dibattito periodicamente si riaccende. La questione è stata risollevata in commissione lo scorso ottobre: a parlarne, a titolo personale, l’assessore alla Cultura Massimo Pulini, che nell’occasione aveva auspicato un recupero della struttura ipotizzando come soluzione lo spostamento del CEIS nella zona del Parco Marecchia, ex vivaio Fabbri. Al momento, pare che la situazione sia destinata a rimanere di fatto invariata: nonostante gli auspici non c’è ancora un progetto concreto, ragion per cui è impossibile parlare di tempi e di costi. Sulla questione è intervenuto con il consueto estro l’architetto Oscar Mussoni: l’architetto riminese caldeggia il recupero dell’opera e dell’area, fondamentale per la valorizzazione del centro storico riminese, e il trasferimento del CEIS nella zona del Parco Marecchia, come già suggerito. “Tutti i Piani Regolatori che si sono succeduti a Rimini negli ultimi cinquant’anni prevedevano il recupero dell’anfiteatro e il trasferimento del CEIS. Ma nessuna amministrazione è riuscita a farlo (e temo che la stessa sorte toccherà a Pulini!) per il semplice motivo che i più accaniti oppositori all’intervento si sono ritrovati all’interno della maggioranza che ha amministrato la città negli ultimi decenni. Gran parte degli Assessori delle passate Amministrazioni, assieme all’intelligenza riminese di sinistra, sono stati allievi del CEIS. L’Anfiteatro, – incalza Mussoni – con la ricostruzione (anche in legno) delle gradinate distrutte potrebbe diventare un suggestivo luogo per spettacoli”.
Il CEIS, le cui strutture sorgono su ciò che rimane dell’anfiteatro, rimane uno dei nodi cruciali della questione. “Noi da sempre – afferma il direttore del centro educativo Giovanni Sapucci – abbiamo dichiarato pubblicamente che, qualora l’amministrazione comunale ritenga necessario e sia nelle condizioni di valorizzare l’anfiteatro, non abbiamo nulla in contrario a spostarci da questa sede. Poniamo, tuttavia, tre condizioni: in primo luogo, essere ricollocati in una zona vicina al centro cittadino, che deve continuare ad essere il nostro riferimento; in secondo luogo, che la costruzione avvenga secondo una progettazione che sia simile, come filosofia, a quella attuale, cioè una filosofia del villaggio, con strutture orizzontali e non verticali, e che sia fatta con la collaborazione di tecnici di nostra fiducia, perché per noi è fondamentale che lo spazio sia organizzato in funzione del progetto educativo”. Infine, occorre capire chi finanzia la ricostruzione: “noi non abbiamo risorse per poterci ricostruire. – mette le mani avanti Sapucci –
L’ipotesi dell’ex vivaio Fabbri a noi non dispiace: ma la questione fondamentale rimangono i soldi”. I soldi, certo. Per una cifra che, “con molta approssimazione – continua il direttore – oscillerebbe intorno ai 20 milioni di euro”. Ora, non sembra purtroppo realistico pensare che, di questi tempi, sia possibile vedere realizzato un intervento di questo tipo. È realistico, tuttavia, sperare che in attesa che ciò avvenga, si punti a valorizzare di più ciò che già esiste. Per il momento, sono confermate anche per la prossima estate le rievocazioni storiche organizzate dalla Legio XIII Gemina, associazione che da tempo si occupa di spettacoli e rappresentazioni in costume per far rivivere la vita dell’antica legione romana costituita da Giulio Cesare. Tuttavia sarebbe importante, oltre a ciò, sensibilizzare la cittadinanza all’importanza che il recupero e la valorizzazione dell’anfiteatro rivestirebbero per il centro storico di Rimini, affinché un intervento in tal senso sia davvero sentito come un’opera non solo giusta, ma anche utile per la città, sotto più punti di vista. Non si tratta di vecchi reperti da riportare alla luce per la gioia di pochi entusiasti intenditori, ma di una struttura che – se valorizzata nella giusta misura – ha le potenzialità per diventare una parte importante del tesoro storico che Rimini già possiede.
Giulia Catenacci