Sami ha 8 anni, occhi grandi e brillanti che cercano la felicità, ma sanno che è troppo lontana. Ha metà del viso deturpato da una brutta scottatura fino alla schiena, provocata dal caffé bollente rovesciatogli addosso distrattamente dalla madre. Vive a Lugoj, una cittadina di frontiera che sta tentando di ricostruirsi, nel nord-ovest della Romania: 45mila abitanti – romeni, ungheresi, tedeschi – a un’ora da Timisoara. Ma la casa di Sami (quattro muri che trasudano umidità, malamente coperti da un tetto che cade a pezzi) non è in città: Sami vive in un quartiere fatiscente di periferia, dove non arrivano i mezzi di trasporto.
È un bambino pieno di simpatia, furbo e diffidente come chi è cresciuto guardandosi alle spalle. Io ho conquistato la sua amicizia con un cioccolatino, che non voleva accettare. Mi guardava sospettoso, non capiva perché. Poi, dal giorno dopo non me lo sono più tolto di dosso ed è diventato mio amico. Come Claudiu, Alexandra, Ovidiu, Florin e molti altri. Sono i bambini e i ragazzini romeni che, dopo la scuola, frequentano il Centro gestito dalle Suore di Carità di Santa Giovanna Antida, e sostenuto dalla generosità dei riminesi della parrocchia del Crocifisso. Li ho conosciuti lì, l’estate scorsa, nei quindici giorni del Campus che ogni anno le suore organizzano per loro. E mi sono rimasti nel cuore. Con una fitta di tristezza ogni volta che penso a loro, come mi succede sempre quando ricordo i volti dei tanti bambini meno fortunati che ho conosciuto in Romania.
I bambini
La mia prima esperienza – dura e indimenticabile – era stata un anno prima, con l’associazione fondata da don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile di Milano, che ogni anno porta centinaia di volontari nei molti istituti sparsi per il paese dove vivono i bambini e i ragazzi abbandonati dalle famiglie. Non ci sono parole per descrivere la desolazione della loro vita negli istituti e il loro bisogno di affetto. Prima della partenza, don Gino ci aveva detto: “Non preoccupatevi se non conoscete la lingua, la cosa più importante che potete fare per loro è chiamarli per nome, nessuno lo ha mai fatto”.
Nel 2007 sono stata con i bambini della Romania due volte, per l’estate e per Natale. E volevo tornarci. Io vivo e lavoro a Milano, ma da anni ho contatti di lavoro e amicizia con Rimini. È stato così che, parlando della mia esperienza, ho scoperto che anche un gruppo di “benefattori” riminesi sostiene delle suore italiane che a Lugoj si dedicano ai bambini romeni. Nei riminesi ho una grande fiducia, così, anche se non conoscevo nessuno dei diretti interessati, mi sono messa in contatto con loro: Lorenzo Rapisarda, affermato commercialista riminese che insieme a don Renzo Gradara è all’origine di questa iniziativa. Con una naturalezza disarmante mi ha invitato a mettermi in contatto con suor Clarice: “Se si sente di andare a dare una mano, la chiami e parta senza problemi”.
Qualche problema in realtà lo avevo: non sapevo quale aiuto avrei potuto dare, né cosa sarei andata a fare. E poi, vivere con le suore, per me era un punto di domanda. Ma ho chiamato e sono partita.
Le suore
Le suore della Carità di Santa Giovanna Antida sono in Romania dal 1991, dalla caduta del comunismo. A Lugoj sono arrivate nel ’93 e nel ’94 hanno inaugurato la loro scuola materna, riconosciuta dallo Stato: con insegnanti laici, ortodossi e cattolici, non riceve finanziamenti dallo stato romeno. Poi, nel 2005, grazie all’incontro quasi fortuito alcuni anni prima con Lorenzo Rapisarda e don Renzo Gradara, e alle donazioni dei riminesi, sono riuscite ad aprire il Centrul Educativ Socio-Sanitar al quartiere Mondial.
Le suore di Lugoj sono soltanto tre, eccezionalmente quattro in luglio: due suore italiane con molta esperienza, che non si scoraggiano di fronte ai problemi – suor Clarice, la responsabile, e suor Lucilla che si occupa della scuola materna – e due giovani suore romene piene di carica: suor Cristina e, per l’estate, suor Monica.
La storia del rapporto fra Rimini e le suore inizia nel 1997 quando don Renzo Gradara e Lorenzo Rapisarda sono arrivati a Lugoj e hanno incontrato per caso le suore di Carità. Tornati a Rimini, ne hanno parlato ai parrocchiani e pochi mesi dopo sono arrivate a Lugoj le prime donazioni. Il cammino è stato lungo e pieno di ostacoli, ma alla fine ce l’hanno fatta.
Il “Mondial” (dal nome della vecchia fabbrica di mattoni) è il quartiere più degradato appena fuori dalla città. Ci vivono circa mille persone, non in palazzi ma nelle casette – in realtà sono costruzioni cadenti di un solo locale, quattro mura e un tetto, che accolgono intere famiglie – costruite molti decenni prima per il riposo degli operai e abbandonate da più di cinquant’anni. Senz’acqua e spesso senza corrente elettrica, circondate dal fango e con i buchi nel tetto, sono diventate il rifugio per i più poveri fra gli abitanti di Lugoj.
Racconta suor Clarice: “Lì i bambini erano abbandonati a loro stessi, vivevano per strada. Abbiamo cominciato ad andare al quartiere Mondial e li facevamo giocare: all’aperto, su spiazzi sterrati. In inverno col ghiaccio. Abbiamo continuato per anni. Ma il nostro sogno era di avere dei locali per accoglierli. Oggi esiste il Centro e lo dobbiamo ai riminesi”.
Vita al Mondial
Il Centro è un edificio luminoso e attrezzato, con un grande giardino per giocare. Accoglie i bambini del Mondial dopo la scuola: arrivano per il pranzo, studiano e giocano. Il venerdì doccia e cambi di vestiti. In luglio le suore organizzano due settimane di Campus, con uno spettacolo finale. Ogni volta su un tema diverso: quest’anno, la vita dei Pirati.
“Possiamo accogliere poco più di trenta bambini” mi spiegano le suore “delle elementari e medie. Lo spazio non ci permette di fare di più”. Lo dicono con una grande tristezza. “Quando raggiungono il limite di età non possono più essere accolti dal Centro. Perdono un punto importante di riferimento, passano i pomeriggi in giro per strada. Il loro futuro ha poche speranze”.
Per me i bambini del Mondial sono stati una grande sorpresa. Me li aspettavo selvaggi, spietati e ribelli, reazione comune a povertà e solitudine. Invece ho trovato grazie alle suore di Carità ragazzini educati e soprattutto capaci di riflessione e di approfondire i temi che gli venivano proposti. Ho capito quanto lavoro sta dietro questo risultato. Ho viste le suore all’opera, con la giusta dose di severità, critiche dure ai comportamenti sbagliati, e poi con i balli e i canti tutti insieme, con la merenda a metà mattina, ma dopo aver controllato la pulizia di mani e unghie.
Le settimane del Campus estivo sono state giorni di lavoro impegnativi: con le suore, gli educatori e i giovani animatori volontari, un centinaio di bambini dai 3 ai 12 anni. A casa, dalle suore, si passavano le ore a cucire bandane, mantelli, bandiere, si tagliavano e coloravano diplomi, ricordini e si tracciavano ogni giorno mappe per cacce al tesoro perfettamente organizzate.
Il giorno della festa c’erano il sindaco, il vescovo, le autorità. E le famiglie. I ragazzini hanno recitato, ballato e cantato, pieni di orgoglio. La Festa dei Pirati è stata splendida e commovente.
Finito il Campus ho lasciato il Mondial, tra gli abbracci dei bambini. E ho lasciato le suore di Carità, con tanta ammirazione per il lavoro che stanno facendo con i molti bambini ai quali hanno insegnato a guardare il mondo con occhi diversi, a rispettare le regole ma anche a capire che negli esseri umani si può avere fiducia. Sono partita condividendo il loro grande cruccio: “Dovremmo fare di più, questo non basta. Il nostro lavoro dovremmo portarlo avanti con gli adolescenti, per non perderli”.
Rossella Giovannini