La capacità del Curato d’Ars di lasciarsi plasmare dall’incontro quotidiano con la gente, la sua sollecitudine pastorale per la parrocchia, l’integrazione esemplare tra vita e ministero e il modo con cui ha affrontato le prove della vita, sono “orme” più che mai attuali e sulle quali incamminarsi in questo Anno Sacerdotale appena terminato. Fortemente voluto da papa Benedetto XVI, che voluto affidare a tutta la cristianità da custodire nella preghiera, nella riflessione, nel ringraziamento a Dio e ai suoi ministri, da questo Anno Sacerdotale si possono ricavare tante suggestioni e altrettante numerose indicazioni. Ne è convinto mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini da quasi tre anni, di recente eletto presidente della Commissione episcopale per il clero e per i religiosi.
In questo Anno Sacerdotale hanno brillato molte perle. Da quale vuole partire per tentare un bilancio e guardare al futuro?
“Il messaggio teologico che riguarda i ministri ordinati, è tra i doni più preziosi ricevuti durante questo Anno. Per il presbitero è fondamentale la «relatività» a Cristo e alla Chiesa. La funzione assegnata ai pastori dalla Chiesa è proprio quella di ri-presentare, ossia rendere presente l’unico pastore.
Il sacerdote non è un rappresentante che rende presente per delega una persona assente: Cristo infatti non è latitante, e la Chiesa non è una sede vacante da duemila anni.”
Nella Chiesa infatti Cristo non è mai assente, come ha fatto notare di recente Benedetto XVI. Molti commentatori laici la pensano esattamente all’opposto.
“Nell’uso più comune, esplicita il Papa, «rappresentare» indica il fatto di «ricevere una delega da una persona per essere presente al suo posto, perché colui che è rappresentato è assente dall’azione concreta». Per Benedetto XVI «Il sacerdote rappresenta il Signore allo stesso modo? La risposta è no, perché nella Chiesa Cristo non è mai assente; la Chiesa è il suo corpo vivo e il Capo della Chiesa è lui, presente e operante in essa» (Udienza gen., 14 aprile 2010).
La Chiesa dunque è il Corpo vivo di Cristo e il Capo della Chiesa è Lui, presente e operante in essa. In sintesi, l’ordinazione rende i sacerdoti rappresentanti insostituibili ma non sostitutivi di Cristo Pastore.
I pastori sono i cristiani che consegnano lealmente e lietamente la propria vita al supremo Pastore, unicamente perché egli se ne serva, e non per un progetto di autorealizzazione. I chiamati infatti sono coloro per i quali «l’Agnello sarà il loro pastore» e lo seguono dovunque vada, perché in loro la gioia di essersi lasciati chiamare per nome ha azzerato la smania di farsi un nome. L’unica ambizione legittima, l’unica gratificazione consentita per un sacerdote è quella di annullarsi e di scomparire totalmente dietro il suo unico, dolcissimo Signore, al punto da immedesimarsi completamente in lui, al punto da poter dire: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Scriveva Hans Urs von Balthasar: «Quanto più il sacerdote serve, tanto più è trasparente. Quanto più si attribuisce titoli di dignità, tanto più opaco egli diviene».”
Il Papa ha presentato il Curato d’Ars come modello per l’Anno Sacerdotale. Un Santo sul cui ritratto si è depositata spesso una patina oleografica che forse ne ha offuscato il volto più vero. Anche Lei, mons. Lambiasi, si è occupato più volte in questo anno di Giovanni Maria Vianney, proponendolo ai sacerdoti della Diocesi e anche al Seminario regionale.
“Cosa c’è di meno antiquato della santità e di più giovane dell’amore? Ad invecchiare invece sono le mode, anche quelle culturali e devozionali: la moda è sempre effimera e passeggera. Non è forse vero che chi sposa la moda oggi, resterà vedovo domani?
La capacità di Giovanni Maria Vianney di lasciarsi plasmare dall’incontro quotidiano con la gente, la sua sollecitudine pastorale per la parrocchia, l’integrazione esemplare tra vita e ministero e il modo con cui ha affrontato le prove della vita, sono «orme» più che mai attuali e sulle quali incamminarsi senza tentennamenti.
Inoltre, va registrata una decisa convergenza tra Benedetto XVI e Giovanni Maria Vianney: il forte accento sulla penitenza, ad esempio, intesa come conversione permanente”.
Il Curato d’Ars è un modello un po’ fuori moda – quanto ad aspetti esteriori e marginali – ma quanto mai fecondo per i sacerdoti del terzo millennio.
“Lo testimonia la «carta d’identità» di Giovanni Maria Vianney, pastore che ha consegnato lealmente e lietamente la propria vita al supremo Pastore, non per un progetto di autorealizzazione. L’unica ambizione legittima per un sacerdote è quella di annullarsi e di scomparire totalmente dietro il suo unico Signore, al punto da immedesimarsi completamente in Lui. Il Curato d’Ars insomma è un esemplare riuscito di uomo e di sacerdote che oggi siamo chiamati a declinare, nelle diverse e complesse situazioni che i presbiteri oggi devono affrontare.”
Nella società attuale, attraversata da numerosi quanto complessi fermenti, a volte il presbitero è scambiato più per un operatore sociale o uno psicologo.
“La questione è emersa in maniera lampante durante la recente 61ª Assemblea generale dei vescovi Italiani, nella quale si è parlato molto dell’attuale situazione dei sacerdoti, e di una certa «stanchezza” e difficoltà che molti di loro incontrano, anche a causa delle tante richieste (e non solo di natura specificatamente pastorale) a cui sono quotidianamente sottoposti.
Al sacerdote la comunità chiede tante cose ma ciò non deve far dimenticare che la prima vocazione e missione del presbitero è quella di essere pastore.
Inoltre, il sacerdote – anche quando è parroco – non può pensare di fare o fronteggiare qualunque tipo di situazione: un prete tuttofare rischia di diventare un mezzo prete. Se si sostituisce ai laici, impedisce loro di crescere.”
Quale volto deve mostrare il sacerdote del XXI secolo?
“Nel nostro mondo occidentale, che sprofonda nelle sabbie mobili del narcisismo dilagante, solo uomini che hanno deciso per una follia d’amore di perdere la testa dietro a Cristo e di perdere la vita per il vangelo, potranno aiutare molti a ritrovare la propria vita e la propria testa. Di qui la necessità di ordinandi presbiteri e sacerdoti che siano trasparenti a Cristo pastore, fino a lasciarlo scorgere nella trama dei gesti, fino a farlo intravedere nella filigrana delle parole, fino a lasciarcelo percepire nelle pulsazioni del cuore.
I sacerdoti insomma siano trasparenti a Cristo Pastore e Servo.”
Anche il calo delle vocazioni è un fenomeno in atto ormai da qualche tempo e va valutato con attenzione. Ma è davvero solo una emergenza da “tamponare”?
“I numeri si assottigliano, ma non è detto che la situazione rosea sotto il profilo meramente quantitativo degli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso fosse ottimale.
Inoltre, l’arretramento delle vocazioni non è un fenomeno univoco. Il seminario regionale di Anagni, per fare un esempio, fa registrare una netta controtendenza: attualmente ospita oltre 70 seminaristi, un numero doppio rispetto a quindici anni fa.
Laddove la diminuzione dei sacerdoti è più sensibile, certamente si determina un sovraccarico sui preti più anziani che produce fatica e stress. Per fortuna lo Spirito Santo suscita ancora tanti sacerdoti disposti – come diceva don Oreste Benzi – a «ri-presentare», ossia rendere presente l’unico pastore, «lasciarsi strapazzare» per il bene della comunità e per le anime.”
Altra questione delicata e dolorosa di cui anche Lei, in qualità di presidente Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata, non potrà non interessarsi, è lo scandalo pedofilia nella Chiesa.
“Si tratta di una questione gravissima. Al riguardo penso che dobbiamo dire due no. No ad ogni superficiale e irresponsabile minimizzazione del fenomeno: anche una sola vittima di abusi sessuali non può non farci piangere lacrime di sangue, e deve far crescere una richiesta di giusta riparazione. Il secondo no è ad ogni indebito tentativo di generalizzazione: il peccato grave di cui si sono macchiati alcuni consacrati, non deve far dimenticare tutto il bene che la gran parte di sacerdoti quotidianamente riversa in modo gratuito nella Chiesa e nel mondo.”
Qualche commentatore laico auspicava la creazione di una commissione episcopale ad hoc. L’Assemblea dei Vescovi invece non l’ha ritenuto opportuno. Perché?
“Tutto ciò che è necessario e opportuno operare per far chiarezza sugli abusi sessuali del clero sui minori, va fatto, e senza indugi. Esistono già delle linee-guida fatte pervenire dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, che sono una precisazione e un rilancio di quanto già messo a punto anni fa.
Per questo motivo, i vescovi italiani fino ad oggi non hanno ritenuto opportuno prendere altre particolari iniziative, perché trovano in queste linee-guida non solo la risposta più autorevole, ma anche quella più concreta che ci possa aiutare e orientare – in teoria e in pratica – di fronte a casi drammatici di questo tipo”.
Ciò significa anche un maggiore controllo dei candidati al sacerdozio?
“È necessario operare tutto il discernimento possibile nei confronti dei candidati al sacerdozio, ministero che la Chiesa affida a chi ha fatto la scelta di Dio come il tutto per la propria vita.
Per questo, qualora fosse opportuno, occorre pronunciare dei no chiari e netti per il bene della Chiesa di domani a quanti non manifestassero i requisiti per iniziare questo cammino. Da questo punto di vista l’anno di propedeutica in seminario può risultare fondamentale, per un primo essenziale discernimento, che richiede la collaborazione tra i seminari e le rispettive diocesi. Non si può peccare di superficialità: dalle mani di un prete passa l’amore di Cristo che salva il mondo!”.
Paolo Guiducci