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ITALIA: UNA FABBRICA DI IGNORANTI

Non lo scriviamo noi, ma l’ultimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese. Interrogati, più della metà di un campione di italiani, non sa che Benito Mussolini è stato destituito e arrestato nel 1943, un quinto non conosce Giuseppe Mazzini, un terzo non sa dire l’anno dell’Unità d’Italia, poco meno ignora quando è entrata in vigore la Costituzione. Sempre la metà non sa l’anno della Rivoluzione francese, due quinti non conosce l’anno in cui l’uomo è sbarcato sulla luna, un quarto ignora l’anno della caduta del muro di Berlino. Addirittura un italiano su tre non sa che Potenza è la capitale della Basilicata. Non è finita. Non raggiungono i traguardi di apprendimento: in italiano, un quarto degli alunni al termine del ciclo di scuola primaria, due quinti al terzo anno della scuola media e altrettanti all’ultimo anno della scuola superiore (negli istituti professionali quest’ultimo dato sale vertiginosamente all’80,0%); in matematica, poco meno di un terzo alle primarie, due quinti alle medie inferiori e circa la metà alle superiori (anche in questo caso il picco si registra negli istituti professionali con l’81,0%). A Rimini va meglio? Mica tanto. Stando al test Invalsi 2022, il sistema di valutazione degli esiti scolastici, un terzo dei maschi e due quinti delle femmine delle classi III della scuola secondaria di primo grado della provincia

di Rimini non ha competenze numeriche adeguate; quasi due quinti degli studenti maschi non raggiunge competenze alfabetiche (lettura e comprensione di un testo) adeguate, percentuale che scende ad un quinto per le femmine (Istat, BES dei Territori 2023). Panorama piuttosto desolante, che consiglia, perché la cultura è l’unico antidoto efficace contro le false notizie e le manipolazioni, anche elettorali, di fare un esame e compiere una valutazione sull’adeguatezza dell’offerta culturale del territorio, a partire dai quartieri, per numero di residenti paragonabili a piccole città, ma che sono, spesso, dei veri e propri deserti socio-culturali. Senza una biblioteca, un centro sociale, insomma un luogo in cui i residenti possano ritrovarsi, leggere un libro, visionare un film, partecipare a laboratori, anche per bambini, la società si sfalda e non partecipa nemmeno, come ha dimostrato l’ultima tornata elettorale dove appena due elettori su cinque si sono recati alle urne.

Il peggior risultato provinciale regionale.

Si potrebbe prendere l’esempio della città di Barcellona (Spagna) dove esistono, sul territorio, ben 52 Centri civico-culturali (uno ogni 30.000 residenti) con una offerta culturale amplissima, molto apprezzata e partecipata dagli abitanti.

Si dirà, sarebbe bello ma queste cose costano.

Vero, ma anche l’ignoranza costa, persino in termini di competitività economica.

Quindi non sarebbe un costo, ma un investimento, sulle persone e sul territorio. Il Comune di Rimini era pronto a spendere un milione e mezzo di euro nel caso fosse andata in porto la candidatura a Capitale della cultura 2026. Si potrebbe ripartire da qui. In nome di una cultura diffusa e meno centrica. Ma soprattutto come servizio alla cittadinanza.