È il pomeriggio del 13 gennaio 2010 in un’assolata isola del Mar dei Caraibi. Un’immagine che può far pensare al Paradiso. Invece, è l’Inferno. Un terremoto di magnitudo 7.3 sulla scala Richter, infatti, colpisce alle 16.53 (le 22.53 italiane), l’isola di Haiti, distruggendo l’intera città. L’epicentro è a una decina di chilometri dalla capitale, Port-Au-Prince: la terra trema per un intero minuto, con una violenza “trenta volte superiore a quella che ha devastato L’Aquila”, spiegano gli esperti.
Avvertendo subito la gravità della situazione, si attivano immediatamente aiuti da parte di numerose nazioni: l’Italia è tra i paesi europei maggiormente impegnati a fornire soccorsi alle popolazioni haitiane. Tra i volontari partiti alla volta dell’isola caraibica c’è anche Tommaso Rillo, classe 1955, volontario della Protezione Civile di Rimini, nell’associazione Volontari Soccorso in Mare (VSM) dal 2005. La prima domanda, quella più spontanea che viene in mente, è chi o che cosa, lo abbia spinto a sobbarcarsi quasi 9mila chilometri per portare il proprio disinteressato contributo.
“Dopo l’esperienza vissuta a L’Aquila la volontà di mettermi nuovamente a disposizione è stata molto forte. D’altra parte, sono un volontario”, risponde con semplicità Tommaso, come se volare dall’altra parte del globo per dare una mano fosse la cosa più naturale del mondo.
“Ho chiesto al Coordinamento della Protezione Civile se c’era bisogno di volontari, ma nell’immediato mi fu risposto di no. Poi, dopo una ventina di giorni, la Regione mi ha richiamato per dirmi che c’era bisogno di un cuoco. Io non sono un cuoco di professione, ma in Abruzzo avevo ricoperto proprio quel compito, e con lo stesso compito sono partito per Haiti il 5 marzo”.
Tommaso approda sull’isola come cuoco del campo allestito dagli aiuti umanitari provenienti dall’Italia, e il suo compito è preparare i pasti per tutti i connazionali arrivati come lui in quella che una volta era una splendida città. La situazione era realmente così drammatica come le televisioni e i giornali dicevano?
“Paradossalmente, a questa domanda, fatico a rispondere. La situazione, ad Haiti, non era come quella dell’Abruzzo, o come quella di una qualsiasi emergenza vissuta in Italia. Muoversi per Haiti era pericoloso e non ci era permesso. Anche i pompieri erano sempre scortati dall’esercito, non potevo andare in giro per la città, motivo per cui sono rimasto sempre al campo e non ho avuto contatti con la popolazione. I progetti di soccorso erano mirati e specifici e il mio compito era preparare i pasti per il gruppo di italiani del campo, circa un centinaio. Stop”.
Tommaso è stato l’unico riminese tra i volontari del gruppo italiano e, assurdamente, ha appreso più della situazione haitiana dalla televisione che non trovandosi là in carne ed ossa.
“Per quel poco che mi è stato possibile osservare, la popolazione haitiana, già provata da privazioni e povertà, dopo il terremoto si è trovata in condizioni ancora peggiori: distese di baracche di lamiera ovunque, gli abitanti che vivevano ammassati gli uni sugli altri. Le condizioni erano davvero tremende. Quando sono riuscito ho scattato qualche foto: sono immagini che colpiscono. Ma so che, in larga parte, questa era la situazione anche prima che ci fosse il terremoto, che ha gravato sulla miseria, distruggendo quel poco che gli haitiani avevano”. Tommaso è stato ad Haiti due settimane, ed è tornato a Rimini il 19 marzo. Quattordici giorni incancellabili per un volontario senza confini.
Genny Bronzetti