Io speriamo che me la cavo…

    E’ arrivata. Puntuale come sempre. Con il suo carico di ansie e di notti insonni. Di lacrime e preghiere. Da mercoledì, 2029 studenti riminesi sono alle prese con la tanto temuta maturità. In realtà dovevano essere un pelino in più, ma 116 hanno letto sui tabelloni di fianco al loro nome e cognome, una scrittina in rosso formata da due parole: non ammesso. Che tradotto significa ripetere l’anno. O usando un termine messo in soffitta: bocciato. Questo, almeno, per quanto riguarda gli alunni che si sono “presentati” al termine del ciclo scolastico normale, perché a questi bisogna aggiungere i 144 candidati esterni che fanno salire a 2173 i maturandi.

    Ammessi e respinti
    Dando un’occhiata ai numeri, scuola per scuola, le più virtuose sono state il classico “Dante Alighieri” (44 candidati, 44 ammessi), il linguistico “San Pellegrino” (17 su 17), lo scientifico “Lemaitre” (12 su 12) e l’alberghiero “Malatesta” (71 su 71).
    La percentuale maggiore di non ammessi, invece, è dell’Alberti con il 20.4%, 26 non ammessi su 127 candidati. Alle sue spalle l’alberghiero “Savioli” di Riccione con il 16.8% (16 su 95), i geometri del “Belluzzi” con il 14.9% (13 su 89) e l’istituto d’arte “Fellini” con il 12.5% (8 su 65). Seguono l’Itcg “Michelangelo” (7.2%, 4 su 67); l’Ipsct “De Gasperi” (6.2%, 3 su 48); l’istituto “Maestre Pie” (5.5%, 1 su 36); il commerciale “Gobetti” (5.1%, 5 su 100); l’istituto tecnico “Marco Polo” (4.3%, 4 su 91); il commerciale “Molari” (4.2%, 5 su 118); il “Leonardo da Vinci” (3.7%, 6 su 168) e la sezione artistico del “Serpieri” (3.7%, 3 su 80); l’istituto tecnico “Einaudi” (3.5%, 3 su 84); il classico “Giulio Cesare” (3.1%, 9 su 283); il commerciale “Valturio” (2.6%, 4 su 149); il liceo scientifico “Serpieri” (2%, 2 su 96); lo scientifico “Einstein” (0.9%, 2 su 201) e, infine, lo scientifico “Volta” di Riccione (0.8%, 1 su 125).

    Numeri che letti nella loro complessità, dimostrano che gli studenti riminesi non sono poi così “zucconi” come qualcuno vorrebbe far credere.
    Studenti che hanno preso in mano carta, penna e vocabolario mercoledì per la classica prova d’italiano (a proposito, uno dei siti più cliccati, Studenti.it ha colto ancora nel segno, perché nei giorni precedenti aveva anticipato la probabile uscita di Montale, della condizione della donna e la Costituzione, temi che poi sono puntualmente usciti) e che finiranno le loro fatiche scritte lunedì 23 con la terza prova comune a carattere multi disciplinare e preparata autonomamente da ogni singola Commissione. Poi sarà la volta degli orali. E lì, non ci sarà via di scampo: o si è preparati o si è… fregati. Allora ecco caffettiere colme fino all’orlo, stuzzicadenti usati per non far chiudere gli occhi e notti insonni per cercare di recuperare o per migliorare ancora di più la propria preparazione. Poi l’interrogazione, i saluti, l’attesa per conoscere il voto e quella porta che si chiude sulla propria vita per aprirne un’altra.

    Cinzia Sartini


    L’INTERVISTA. SERGIO ZAVOLI RACCONTA I GIORNI DEL SUO ESAME.

    Dottor Zavoli, si dice che il primo esame non si scorda mai: è proprio così?
    “È l’esame che ti fa maturo: per decreto, anche se da molti punti di vista sei ancora una mela acerba. Eppure quel passaggio è epocale: per chi si ferma, che potrà dirsi, con un piccolo orgoglio, diplomato, e per chi va a sedersi in un’aula senza più banchi, dove si abbandona la parola scuola e se ne inaugurano altre, come rettore al posto di preside, docente in luogo di professore, facoltà anziché indirizzo, e via così. Sarà la vita a maturarvi, imparerete che non si nasce per essere questo o quello, ma una persona e un cittadino cui spetterà, prima o poi, di compiere ogni genere di scelta, di affrontare ogni specie di prova, di fare della propria vita un bene non solo per se stessi; viatico di tante cose, insomma, davvero memorabili”.

    Cosa ricorda di quei giorni?
    “C’era già la guerra, mancavamo di tutto, dall’olio allo zucchero, dal burro al caffé, dalla carne persino ai libri di testo, che cominciammo a cercare nelle bancarelle, e fu il primo oggetto riciclato, oltre il cappotto e i calzoni del fratello maggiore, l’uno rivoltato, gli altri accorciati. L’anno scolastico della maturità anticipava una breve vacanza, il tempo di mettere a punto la preparazione e di entrare in confidenza con una nuova responsabilità; ma ricordo che lo consumammo quasi tutto al mare, per respingere un destino gravido di incognite e propiziarlo sulla spiaggia, più leggero e augurale, piuttosto che nelle penombra di casa, in un’atmosfera quasi luttuosa, con i genitori e i fratelli che parlavano a voce bassa, forse rimproverando una nostra inerte, fatalistica attesa di tutto, dal trionfo alla catastrofe. Il giorno della prima prova si risaliva in città con gli abiti suppergiù dell’inverno – le mezze stagioni, per noi, verranno molto più tardi – e ricordo ancora la piccola nausea di quel calore aggiunto al sole, l’odore dei vestiti ripresi dall’armadio, il fastidio di dover rimettere le calze e la camicia con le maniche lunghe. Cominciava male, insomma. A casa, ogni giorno, il rito del silenzio: non mi chiedevano neppure com’era andata per non turbare la sacralità, si fa per dire, di un evento che avrebbe avuto in serbo una promozione di misura e lo sguardo lucente dei miei, i veri reduci dal martirio. Ho nostalgia di quegli occhi ridenti”.

    Come prepararsi: appunti, schemi, o imparare a memoria?
    “C’era chi scriveva dati e pensieri sui cerotti applicati sotto i polsini della camicia, chi nascondeva in varie parti del vestito i rullini di carta, uno per argomento, da srotolare dopo la scelta del tema, chi distribuiva schedine dentro il vocabolario, o decideva con i compagni l’attribuzione dei singoli compiti, o si affidava all’aiuto, nientemeno, di un tenero bidello che s’impietosiva di fronte a chissà quali racconti. E infine chi prendeva una pasticca di simpamina per risvegliare la memoria e tener desta la concentrazione. Ecco il repertorio di quei tempi, tutto sommato innocente, ancorché trasgressivo e quindi da non incoraggiare. Leggo che la novità di quest’anno è la maglietta-Bignami, cioè una T-shirt su cui sono stampate formule matematiche, verbi irregolari di greco, percorsi di trigonometria e geometria analitica. Costano 7 euro, il mercato è clandestino, ma già fiorente. Ed ecco la contromossa della scuola: i ragazzi sospettati dovranno togliersi le magliette e consegnarle ai bidelli! L’esame a torso nudo? Con le ragazze in reggiseno per pagare, anch’esse, la loro temerarietà? E la privacy? Un gran pastrocchio, insomma, che la scuola, spero, saprà risparmiarsi”.

    Com’erano i professori di allora, la commissione esaminatrice, i compagni…
    “I professori di allora, tranne le naturali eccezioni, furono la bussola che in anni difficili ci orientò per il meglio. Come dimenticare, per esempio, l’austera, paterna, persino dolce pedagogia del preside Arduino Olivieri? E i Ghelfi, librai di origine pontremolese, che nel loro retrobottega ci lasciavano scorrere le pagine sovversive sfuggite alla censura, se non a qualche falò? La commissione alternava visi severi e bonari, tolleranti e intransigenti, e si sperava di essere giudicati, specie negli orali, da quelli che parevano i più longanimi. I compagni? Me li ricordo, in quelle file ordinate davanti al fotografo, il quale metteva la testa sotto un panno nero e, alzata la mano con la lampada di magnesio, ci consegnava tutti insieme, grazie a un lampo, al resto della nostra vita. Ho ancora presente una di quelle foto, quando mi scappò da ridere, costringendo il fotografo a ricominciare tutto daccapo. Gli chiedo scusa, temo in grave ritardo”.
    Cosa può consigliare ai giovani che si accingono a svolgere la loro prova di maturità?
    “La scuola è in difficoltà, e i primi a rimetterla in sesto dovranno essere le regole per gli studenti, uno status corrispondente ai nuovi compiti degli insegnanti, la solidarietà della famiglia per chi contribuisce a fare, dei figli, le persone e i cittadini di domani. I giovani rinuncino alle pretese, ai ribellismi, alle rivalse e, figuriamoci, ai bullismi: la scuola è la seconda casa – spesso addirittura la prima – di una stagione decisiva per la loro esistenza. Si dovrà tornare all’osservanza della disciplina e al criterio del merito. Che non si debba più dire, con Ennio Flaiano, tutto quello che non so l’ho imparato a scuola! Più spesso, molto più spesso, ciò che non sai l’hai imparato dalla tua pigrizia, dal tuo disincanto, dalla tua arroganza. Aiutati da una franca, aperta e fiduciosa pedagogia – che coinvolga tutte le identità etniche, culturali e religiose – dovrete essere voi, per primi, a difendere la vostra scuola: perché, anche quando vi sembri presa solo da se stessa, in realtà sta preparando il vostro passaggio ai banchi della vita, secondo la vocazione attribuitale da Don Milani quando la richiamò al dovere di esservi seconda madre”. (ci.sar.)