Carissimi, vorrei bussare alla vostra porta con tutto il rispetto che meritate e con la gratitudine più viva per la cordiale disponibilità con cui mi accogliete. Sono il vescovo di Rimini, e vorrei semplicemente poter avere la gioia di formularvi i più sinceri auguri di Buon Natale.
Lo ammetto: per me non è facile parlare del Natale. Da una parte è una verità fragile nella sua disarmante semplicità; dall’altra è un mistero struggente, per il fiotto di candore che ne scaturisce. Ma stavolta una difficoltà supplementare mi deriva dal fatto che siamo un po’ tutti sotto l’urto dell’orribile massacro compiuto quel venerdì buio, il 13 novembre scorso, a Parigi, come pure – prima e dopo – in altre parti del mondo. Ora, mi rendo conto di quanto sia problematico mettere insieme Natale e terrore, pace e violenza, vita e morte.
Anche se non possiamo dimenticare che la nascita di Gesù fu insanguinata dalla strage degli innocenti, e che la Famiglia di Nazaret ha conosciuto da subito l’angoscia dell’esilio e l’amara esperienza dei rifugiati.
Consentitemi di tornare al terrificante eccidio di Parigi. Nel fiume in piena delle parole di orrore e di dolore che in quei giorni di lacrime e sangue ci sono rotolate addosso, il web mondiale ha fatto girare le parole di Sébastien, un giovane sopravvissuto al Bataclan. Al giornalista che gli chiedeva: “Ma tu cosa hai imparato da quelle ore terribili in cui ti sei ritrovato con il kalashnikov puntato sul petto?”, ha risposto: “Oggi capisco che ogni attimo che passo con le persone care, è un dono, una benedizione. Ogni semplice momento della vita fa parte delle cose più belle che abbiamo, e non ce ne rendiamo conto. Se non quando ci capita una specie di elettrochoc, come quello che ho vissuto io. Ho l’impressione di essere nato una seconda volta. E voglio essere capace di gustare questa nuova vita che mi è stata offerta”.
Su Facebook sono rimasto scosso anche dal grido di dolore con cui il signor Antoine Leiris si è rivolto ai terroristi che al Bataclan hanno ucciso sua moglie. “Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Siamo rimasti in due, mio figlio e io”.
“Ha appena 17 mesi e tra poco farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo piccolo vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio”. Garantire la sicurezza e contrastare il terrorismo, sì. Odio e guerra, mai.
Potessimo anche noi – che abbiamo sofferto e tremato con la gente di Parigi – potessimo anche noi dal fondo di quell’inferno in cui siamo piombati, trarre almeno questa consapevolezza: vivere, in ogni semplice istante, è un dono. Un dono dal valore infinito, assoluto: sempre, dovunque, comunque. Che grazia sarebbe, ogni mattina, aprire gli occhi come Sébastien, e dire: “Io sono nato di nuovo”. Che grazia sarebbe guardare al mondo ogni giorno con lo stupore della prima volta. E ogni volta, come il giorno di Natale… E come il giorno di Natale vincere l’odio e sconfiggere la paura con un amore più grande.
Perché sia un vero Natale tutti i giorni. Per tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Buon Natale Amici, di vero cuore che il Signore ci mostri il suo volto e ci dia pace!
+ Francesco Lambiasi, Vescovo