Raramente le notizie che hanno Facebook come protagonista sono positive. La dimensione a metà tra pubblico e privato, l’approccio veloce e superficiale del mezzo, spesso tirano fuori il peggio dalle persone. È un social network che solletica la pancia, gli istinti più immediati, i proclami rabbiosi, gli stati più diretti e immediati.
Nella sua genesi, però, c’è un elemento che ancora oggi ha grandi potenzialità, ossia quello di creare una rete, di stringere rapporti tra persone lontane e tenerli vivi quotidianamente. Nelle intenzioni di Zuckerberg era un modo per ritrovare vecchi compagni di classe, in generale può essere un modo per creare associazioni trasversali che mettono assieme persone da tutte le parti del mondo, o di un paese, accomunate da una necessità, un bisogno o una passione.
Sotto questo punto di vista, le potenzialità di Facebook sono davvero grandiose. Lo dimostra un esperimento che a breve compirà 3 anni, nato dalla mente di Enrico Maria Fantaguzzi, Presidente dell’associazione Rimini Autismo e fondatore del gruppo facebook Io ho una persona con autismo in famiglia.
Forse il nome del gruppo non è tra i più brevi, o non è particolarmente facile da ricordare, ma nel suo incedere lento, quasi puntualizzasse ogni sillaba, mette subito in chiaro finalità e intenti: collegare famiglie che hanno al loro interno una persona con autismo.
Perché? Ce lo racconta Enrico.
“Il gruppo è nato quasi 3 anni fa, il 12 aprile 2012. L’idea alla base è stata quella di cambiare ottica, soprattutto per le famiglie. Noi genitori con figli autistici, spesso, siamo portati a discutere e a parlare di terapie. Ci confrontiamo in continuazione, ma non abbiamo titoli per farlo, e spesso finiamo per dividerci in piccolissimi gruppi, ognuno attorno alla propria bandiera, incapaci di fare fronte comune. Se capita di doversi muovere per chiedere una legge, una modifica, o qualsiasi altra cosa, ogni gruppetto fa per sé, in modo frammentario, e ci si presenta dal politico di turno in pochi, 4 o 5, senza nessuna forza, rappresentativi di nulla”.
Cosa sia l’autismo è difficile da dire. Non una malattia, ma un modo di essere, un diverso approccio al mondo e ai suoi problemi. Oggi, poi, più che di autismo si tende a parlare di spettro autistico, proprio per evidenziare le diverse e tante sfumature che possono colpire le persone, modificando radicalmente l’autonomia e le terapie.
“All’interno del gruppo non si parla di terapie, è una questione che lasciamo alle singole famiglie. Ognuno decide per sé senza fare proselitismo. Anche perché spesso le terapie sono una vera e propria fede, nel senso che chi sceglie una determinata cura lo fa perché ci crede e perché ottiene risultati, che spesso non si verificano su altre persone. Per questo tutti i post relativi alle terapie li cancelliamo. All’inizio qualcuno si è arrabbiato, altri ci hanno dato dei fascisti, ma siamo sempre stati molto rigidi, e abbiamo avuto una escalation di adesioni”.
In poco tempo, il gruppo ha collegato assieme 6580 famiglie da tutta Italia che si attivano le une in aiuto delle altre. Al gruppo si sono aggiunti anche i sottogruppi regionali, ma per iscriversi a quello della propria regione, è necessario prima essere iscritti al gruppo principale.
“Cerchiamo di creare aggregazione e fare gruppo non sulla terapia ma sui bisogni comuni che abbiamo identificato in 3 punti: i diritti della persona, la scuola e il dopo di noi. Qui c’è convergenza, perché sono temi che riguardano tutti noi, e sui quali è davvero importante essere uniti e chiedere con voce comune”.
Ma qual è la situazione delle famiglie con una persona autistica? Quali sono le difficoltà e i problemi?
“Partiamo da una semplice considerazione: in Italia non c’è alcuna legge sull’autismo, a differenza di altri paesi europei come Germania, Inghilterra, Polonia e Spagna. È un problema sottovalutato, anche se ha una diffusione molto ampia. Basta fare un salto sul sito del Ministero della Salute. Alla richiesta autismo, vengono restituiti 218 risultati, contro le decine di migliaia dei siti ministeriali della salute degli altri paesi. Eppure, secondo le ultime stime, in Italia ci sono 500mila persone affette da autismo, ed è la prima causa di disabilità infantile. È un problema gigantesco ma sottovalutato. E come se non bastasse, ogni regione valuta i casi in modo diverso. Secondo alcune un ragazzo con autismo ha diritto all’accompagnamento, secondo altre no. C’è una gran confusione. Poi, in questo periodo di tagli e di difficoltà per la scuola in generale, i ragazzi con autismo vengono colpiti ancora di più”.
Collaborazione e mutuo aiuto sono le parole chiave per capire il funzionamento del gruppo.
“Le famiglie che hanno un figlio che soffre di autismo, molto spesso sono lasciate sole. Anche la coppia risente di questa difficoltà, perché il bambino concentra tutte le attenzioni e le energie. Le separazioni, in queste coppie, sono più alte rispetto a coppie che non hanno figli con autismo. Ma insieme ci si può aiutare. Si scoprono persone con gli stessi bisogni, magari con figli che legano e diventano amici, e si possono recuperare anche spazi per sé, scoprire momenti di svago”.
Un gruppo numeroso di persone può ottenere grandi risultati, semplicemente unendo i propri sforzi. Ancora di più quando poi l’obiettivo è il malfunzionamento dell’apparato statale, le lentezze burocratiche o l’esigibilità dei propri diritti, come un accompagnatore per il proprio figlio a scuola, come dimostra questo ultimo caso affrontato dal gruppo.
“La richiesta di aiuto è arrivata da Gaeta – racconta Fantaguzzi – dove una cooperativa vincitrice del bando del Comune per l’accompagnamento per ragazzi con difficoltà non ha più erogato il servizio perché il bambino ha accidentalmente colpito l’accompagnatore. Il risultato è stato che l’alunno, a dicembre, ha smesso di andare a scuola perché il Comune non era in grado di garantire il trasporto da casa a scuola e ritorno”.
Come siete intervenuti?
“Siamo intervenuti come gruppo, facendo mail bombing al Comune che per fortuna ha risposto e si è aperto al dialogo, dichiarandosi disponibile a remunerare la famiglia con la stessa cifra che era prevista per il ragazzo. Scatta così l’idea di creare un nuovo modello di assistenza: non più operatori impreparati sulla patologia, ma operatori formati in modo specifico e scelti dalla famiglia. Si scopre in breve che sul territorio opera un’associazione di genitori Libera Autismo che si incarica di organizzare in modo rapido ed efficiente un progetto completamente nuovo per il bambino con autismo. La grande collaborazione fra le parti ha permesso una attivazione molto rapida e il raggiungimento di questo obiettivo in tempi record. Mirando ad un obiettivo comune, è più facile ottenere risultati. Infine, per noi è importante evitare la polemica sterile. Se affrontiamo un problema, o notiamo una lacuna o una mancanza, cerchiamo anche di proporre una soluzione, e siamo sempre aperti al dialogo: ne va del futuro e della salute dei nostri figli”.
Stefano Rossini