MoIti giovani protestano, vorrebbero fossero arontati i temi del cambiamento climatico e accusano i governanti di sapere dire solo dei gran bla-bla . Cioè di fare mol – te chiacchere, ma pochi fatti. In tanto gli anni passano e le scadenze, per evitare il peggio, si avvicinano. La Regione Emilia-Romagna, nel dicembre 2020, ha firmato con tutte le associazioni, i Comuni e le Province, compreso Rimini, il Patto per il lavoro e per il clima.
Lasciando, per il momento, da parte il primo aspetto, non meno rilevante, ci concentriamo sul secondo. Perché non vorremmo fosse un ennesimo impegno senza conseguenze. Il Patto individua quattro obiettivi strategici, tra cui quello di fare dell’Emilia-Romagna la regione della transazione ecologica.
Con questo Patto, recita il documento, “ci poniamo gli obiettivi dell’azzeramento delle emissioni climalteranti per raggiungere la neutralità carbonica prima del 2050, in linea con la strategia europea, e del passaggio al 100% di energie rinnovabili entro il 2035”. Sul merito si elenca una lista di linee di intervento che vanno dalle nuove liere verdi, alle comunità energetiche, dal consumo di suolo a saldo zero alle rigenerazioni urbane, ecc.
Il Patto, è scritto, assume come proprio orizzonte il 2030 e nell’arco dei prossimi cinque anni (ne restano quattro) sarà declinato in accordi operativi e strategie attuative necessari per raggiungere gli obiettivi. Previsto anche un monitoraggio semestrale. Immaginiamo che i rmatari, tra cui Comune e Provincia di Rimini, cercheranno di declinare il Patto alle situazioni locali, con obiettivi quanticati e azioni coerenti. Al momento non se ne vede traccia. Cerchiamo, per quanto possibile, di fare il punto sulla situazione di partenza.
Non senza ricordare che nel dicembre 2017, il Comune di Rimini, presentando il suo Piano urbano di mobilità sostenibile (PUMS), si era dato obiettivi impegnativi da raggiungere entro il 2020, ma anche qui è calato il silenzio.
La qualità dell’aria
Cominciamo con lo stato della qualità dell’aria, l’aspetto che preoccupa di più. Misurata con i superamenti del limite delle polveri sottili (PM10), 50 mi – crogrammi/metro cubo da non oltrepassare più di 35 giorni l’anno, la centralina di via Flaminia, nel comune Rimini, ha costantemente superato, negli ultimi dieci anni (dal 2010 al 2020), questo limite. Nel 2020, pur con le attività economiche ridotte, compreso il turismo, per via della pandemia, i giorni di superamento del limite sono risultati 56. Erano stati 58 nel 2010. Ci sono città più inquinate (a Torino e Milano il limite è stato superato 98 e 79 volte), ma non è una buona consolazione.
Tra le cause sicuramente il traffico. A Rimini circola – no 632 auto ogni mille abitanti, un numero elevato, tra l’altro in costante crescita, ma in linea con gli altri capoluoghi regionali. Esclusa Bologna che si ferma a 537. Ricordiamo che in queste cifre non rientrano i turisti, che in maggioranza raggiungono la riviera col mezzo privato. Le centraline registrano anche il loro contributo all’inquinamento. Come spesso ascoltiamo, a volte con scarsa considerazione per lo stato del servizio, l’alternativa al mezzo privato è il trasporto pubblico. In generale
è vero.
I passeggeri, che comprendono anche i turisti, del trasporto locale sono incoraggianti: 105 passeggeri anno per abitante, il doppio di Forlì e Ravenna, ma un terzo di Bologna. Ma che dire del fatto che solo un misero 2 per cento (dato fermo al 2015) degli autobus in circolazione a Rimini sono a basse emissioni, a fronte dell’89 per cento di Ravenna e il 70 per cento di Ferrara? Col Metromare questa situazione dovrebbe parzialmente cambiare, almeno si spera. Anche se non risolve il problema costituito dal resto del parco autobus.
Se non il bus, una buona rete di piste ciclabili potrebbe convincere molti a rinunciare all’auto, almeno nelle brevi distanze: ma non sempre succede. Nel comune di Rimini la densità delle piste ciclabili è aumentata, tra il 2013 e 2018, da 60 a 75 chilometri lineari per chilometro quadro di supercie territoriale, ma non è calato l’uso del mezzo privato, di cui le polveri sottili danno testimonianza. La loro estensione è importante, ma non di meno bisogna guardare alla qualità e soprattutto alla sicurezza di chi le utilizza.
L’inquinamento e gli eetti del clima, soprattutto d’e state, si possono mitigare dando più spazio a piante e verde pubblico, tra l’altro carente. Il verde rinfresca, assorbe CO2 (attraverso la fotosintesi) e rende il paesaggio, anche urbano, più gradevole. Si chiama rigenerazione urbana e lo prevede anche il Patto per il Lavoro e per il Clima.
Ma come rigenerare aree urbane, anche costiere,cariche di edici, magari vetusti, inutilizzati e fonte solo di degrado? Rigenerandoli o anche abbattendoli.
Tra l’altro c’è stato un decreto governativo, del gennaio 2021, scaduto a giugno, che assegnava contributi no a 20milioni di euro ai comuni sopra i 100.000 abitanti, proprio per investimenti in progetti di rigenerazione urbana. Quindi i soldi si troverebbero. Ma c’è una gabbia culturale, oltre che di interessi, da vincere. Perché se per la trasformazione e rigenerazione degli edici si trova sempreun accordo, parlare di abbattimento è come violare un tabù. Eppure non mancano esempi. Resta il fatto che qualcosa, che non sia di facciata, bisognerà fare.
Perché a fine secolo, secondo il rapporto ‘Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in sei città italiane’, realizzato dal Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici del settembre scorso, senza nessun intervento la temperatura di Bologna, che non è distante, potrebbe aumentare di 4-5 gradi centigradi e il mare alzarsi di 68 centimetri a Venezia. Per quella data la spiaggia di Rimini arretrerebbe di 40 metri e l’Italia perderebbe il 30 per cento (più di mille km) di arenile.
Non è allarmismo, perché un quinto dei 140 km di costa emiliano-romagnola, circa 32 km, è già interessato da fenomeni di erosione. Che i periodici ripascimenti cercano di tamponare. Dei cambiamenti climatici si parlerà nel prossimo vertice Cop26, in programma a Glasgow il 16 novembre prossimo. Sarebbe utile se ne parlasse anche dalle nostre parti