Al Festival Purtimiro di Lugo, due operine del settecento dirette da Rinaldo Alessandrini e affidate al suo Concerto Italiano
LUGO, 7 ottobre 2017 – Niente di nuovo sotto il sole. Oppure, declinando in altro modo: gli ingranaggi teatrali sono cambiati ben poco nel tempo. L’idea del finale aperto non è dunque un’invenzione del novecento, ma si poteva già trovare, intorno al 1730, nell’intermezzo Fidalba e Artabano, musicato dal bolognese Giovanni Adalberto Ristori (s’ignora il nome dell’autore del libretto), proposto in prima esecuzione moderna al Teatro Rossini di Lugo per il Festival Purtimiro. Le schermaglie amorose fra i due protagonisti – la vezzosa e un po’ vanesia Fidalba, che aspira a un ricco fidanzato, e l’ingenuo Artabano, che spasima per lei – non portano infatti a una conclusione ben definita: con il buffo convinto che la giovane dovrà arrendersi al suo amore e il soprano che invece ribadisce il totale disinteresse, ai limiti del disprezzo, per il poco blasonato pretendente. Un epilogo, dunque, che non potrebbe essere più possibilista di così.
Una simile drammaturgia non è neppure vincolata a un’epoca precisa e si presta a qualsiasi ambientazione. Il regista Walter Le Moli ha scelto, pertanto, una cornice moderna, essenziale e colorata (lo spazio scenico è disegnato da Luca Giombi e i costumi sono di Gabriele Mayer): quando i due riescono a intrufolarsi in un sontuoso palazzo per partecipare a un ballo, sembra quasi che lei sia una delle tante ragazze di oggi che hanno come massima aspirazione le luci della ribalta. Il soprano Lavinia Bini, da parte sua, è riuscita a calarsi bene nel personaggio ed è stata una protagonista vivace e briosa, sempre molto sicura in una scrittura che talvolta sembra fare spiritosamente il verso ai grandi ruoli da primadonna. Accanto a lei Filippo Morace ha sfoderato doti comiche, disegnando uno spasimante patetico, in grado di suscitare tenerezza e simpatia.
Decisamente più complesso sul piano musicale il secondo intermezzo – abbinato a Lugo nella stessa serata – Serpilla e Bacocco, ovvero Il marito giocatore e la moglie bacchettona di Giuseppe Maria Orlandini, su libretto di Antonio Salvi (Venezia, 1718). In questo caso i giochi sembrano più chiari, con un epilogo che vede la riconciliazione fra i protagonisti, anche se è difficile stabilire se sarà duratura. Serpilla, disperata perché il marito Bacocco dilapida al gioco tutti i loro averi, decide di rivolgersi al tribunale per ottenere il divorzio. Il marito, travestitosi da giudice, la ricatta offrendole una sentenza favorevole se lei lo accetterà come cicisbeo, salvo poi cacciarla di casa. Ridotta all’elemosina, alla fine viene di nuovo accolta dal consorte e il pentimento di entrambi ricompatta la coppia. Un ricongiungimento sottolineato da spiritose e onomatopeiche sonorità, come “tappe tappe in sen mi fa”, cantato da lei, cui fa eco Bacocco con “tuppe tuppe in sen mi fa”: versi che da un lato sembrano riecheggiare il modello della Serva padrona e, al tempo stesso, aprire la strada all’esilarante “Tippe tappe, un sussurro fuor d’uso” di Figaro nelle Nozze.
Il regista ha qui avuto l’opportunità di plasmare con maggior definizione i due caratteri. Ancor più a suo agio che nel precedente intermezzo, Morace fa emergere, in Bacocco, il comico opportunismo di tanti personaggi della commedia dell’arte. Daniela Pini, in impermeabile e foulard anni sessanta sulla testa, pur nascondendo un lato sexy sotto l’apparenza castigata, ha saputo gestire la scrittura mezzosopranile con sicurezza, disegnato una moglie che da severa inquisitrice si trasforma in barbona, scendendo tutti i gradini: da quando cede alle avances del finto giudice fino a vagare per la platea chiedendo l’elemosina.
In entrambi gli intermezzi l’accompagnamento strumentale era affidato a Concerto Italiano: un totale di otto elementi, compreso Rinaldo Alessandrini, cembalista e direttore. Gli ottimi musicisti hanno impresso un andamento fluido e scorrevole alle due operine, valorizzandone tutta la comicità. E comunicando, soprattutto, un’idea giocosa di far musica insieme.
Giulia Vannoni