Una mente artificiale in grado di pensare come quella degli esseri umani. Questa, in estrema sintesi e con parole povere, è ciò che si intende per intelligenza artificiale. Fino all’alba del nuovo millennio solo appannaggio di film o romanzi di fantascienza, è oggi sempre più realtà, anche se con i dovuti limiti e proporzioni. Un argomento delicato e affascinante che, col passare degli anni, con l’aumentare delle possibilità tecnologiche e, di conseguenza, delle sue applicazioni concrete, porta a dibattiti sempre più accesi: è giusto affidare le nostre vite a una mente non umana? Quanto è possibile fidarsi? Quali sono i limiti di applicazione di questo tipo di tecnologia, e chi li può, o deve, decidere? Queste sono solo alcune delle domande che è necessario porsi, perché l’intelligenza artificiale, in futuro, sarà sempre più parte integrante delle vite di ognuno di noi. Allo stesso tempo, però, gli studi sull’intelligenza artificiale rappresentano uno sforzo tecnologico non indifferente, in grado di portare, come conseguenza, a tanti nuovi modi di fare innovazione.
Rimini, in queste riflessioni, non è da meno: proprio su questo tema la nostra città ha ospitato, pochi giorni fa, un incontro dal titolo: Let’s talk about AI (Parliamo di Intelligenza Artificiale). L’evento, organizzato nella cornice di Innovation Square da Startup Grind Rimini e San Marino, ha permesso di riflettere su intelligenza artificiale, suoi limiti e applicazioni, startup e innovazione tecnologica in Italia invitando come ospiti Antonio Giarrusso e Jacopo Paoletti, fondatori di Userbot: una startup tutta italiana che ha sviluppato un’intelligenza artificiale, applicata all’assistenza clienti, in grado di comprendere le richieste degli utenti e le emozioni del cliente, per poi interagire automaticamente con lui come fosse un essere umano.
Giarrusso e Paoletti, raccontateci: cos’è Userbot?
“Si tratta di una piattaforma di intelligenza artificiale che permette di automatizzare alcuni processi aziendali. Nello specifico, noi ci siamo concentrati sul servizio di assistenza clienti: le aziende con numerosi clienti ricevono una mole immensa di richieste di supporto e, la maggior parte, sono sempre le stesse, molto ripetitive. Quindi ci siamo chiesti: perché non automatizzarle?”.
E così avete fatto. Come funziona?
“Abbiamo sviluppato una tecnologia in grado di riconoscere e imparare dagli operatori umani. In questo modo, l’intelligenza artificiale riesce, imparando le risposte utilizzate dagli impiegati umani alle diverse domande, a reagire automaticamente alle richieste di supporto avanzate in chat dagli utenti. Ma non è una reazione statica: a seconda della domanda dell’utente, il programma è in grado di riconoscere il significato della domanda, il suo contesto, la priorità e, più interessante, lo stato d’animo del cliente”.
E riesce a rispondere a ogni tipo di domanda?
“Il programma impara ‘sul campo’: se si trova di fronte a una domanda troppo complessa, o mai affrontata prima, la conversazione con il cliente passa automaticamente a un operatore umano. L’operatore risponde alla nuova domanda e l’intelligenza artificiale impara dalla nuova risposta. In questo modo saprà come rispondere in futuro. Un programma, quindi, che impara in modo costante e graduale”.
Più in generale: cosa rappresenta, per voi, l’intelligenza artificiale?
“Quando le persone ne sentono parlare, pensano subito a qualcosa di inarrivabile o all’immaginario legato ai temi classici della fantascienza. Ma in realtà, ad oggi, l’intelligenza artificiale è ancora lontana da tutto ciò, dall’essere considerabile come una coscienza autonoma. È un sistema statistico-probabilistico, cioè una macchina in grado di imparare da una grande quantità di dati. Le tecnologie fondamentali sulle quali, ad oggi, si basa sono due: machine learning e deep learning che, in sostanza, si fondano sull’imparare attraverso l’analisi dei cosiddetti Big Data, ovvero enormi quantità di dati che circolano con le moderne tecnologie, soprattutto in rete”.
E qual è, oggi, il rapporto che c’è tra intelligenza artificiale ed essere umano?
“L’utilizzo più funzionale che oggi l’intelligenza artificiale può avere è quello di risolvere, concentrandosi sull’ambito aziendale, alcuni meccanismi estremamente ripetitivi. Per questo, infatti, noi abbiamo scelto come ambito applicativo quello dell’assistenza clienti, che si sostanzia in flussi massicci di domande molto simili tra loro”.
Cambiando punto di vista, com’è fare innovazione in Italia, soprattutto in ambito tecnologico?
“Fondare una startup e fare innovazione, in Italia, di certo non è facile. È molto difficile, soprattutto, riuscire a raccogliere i fondi necessari per mettere in pratica le proprie idee. Soprattutto, più in generale, ci sono problemi legati alla burocrazia. Esempio emblematico di questo tipo di problemi è relativo all’atto costitutivo della nostra società: nonostante ci fossimo costituiti con firma digitale certificata, seguendo il procedimento previsto dalla legge, abbiamo comunque dovuto aspettare 4 mesi di controlli da parte della Camera di Commercio di Milano. Il tutto mentre avevamo un cliente da 300mila euro in attesa. La burocrazia italiana va ad una velocità completamente diversa dal mondo imprenditoriale. Va detto, comunque, che fare innovazione è difficile ma non impossibile: se si ha una buona idea, un buon piano di sviluppo e, fondamentale, un buon team, è possibile riuscirci”.
Voi, nello specifico, come vi siete comportati?
“Abbiamo presentato il nostro prodotto a un fondo che, vedendo le potenzialità di un’idea che cerca di integrare intelligenza umana e artificiale, si è mostrato subito interessato. In quel momento avevamo solo il prodotto e poco altro, così ci è stato detto di strutturarci, prima di poter partire. Abbiamo costituito il nostro team, e abbiamo pensato a strade alternative per raccogliere capitali senza doverci affidare al fondo: ci siamo rivolti a realtà come incubatori d’impresa o crowdfunding, e in meno di 6 mesi abbiamo raccolto 500mila euro”.
E a livello personale, cosa prova un giovane imprenditore che cerca di mettersi in gioco in Italia?
“Bisogna essere pronti a vivere sulla graticola. 500mila euro in 6 mesi è un ottimo risultato, ma dietro c’è tutto un lavoro estenuante fatto di incontri, treni, aerei e, soprattutto, porte in faccia. Bisogna essere molto, ma molto, motivati, e non solo in Italia, in generale. Essere disposti a ricevere tanti ‘no’, e capire che anche un solo ‘si’ può essere determinante. Per quanto riguarda noi, a un certo punto i nostri conti correnti personali erano in rosso, tra viaggi, incontri, sviluppo del prodotto e mantenimento di coloro che lavoravano per noi. Bisogna essere pronti a mettere in gioco tutto. Prepararsi a una vita di rischio costante”.
Per concludere: qual è il futuro dell’intelligenza artificiale?
“L’intelligenza artificiale si divide in due categorie: weak (debole, dedicata a svolgere un compito definito e limitato) e strong (dotata di una propria autonomia cognitiva e di coscienza). Chiaramente ad oggi siamo nella prima categoria, ma è innegabile che prima o poi si dovrà fare i conti con la seconda, e occorre ragionare con il dovuto anticipo su quali limiti adottare, come già in ambito europeo si sta cominciando a fare. Limiti necessari ad evitare la cosiddetta ‘singolarità’, un concetto introdotto da diversi teorici: un momento nel tempo in cui le macchine, dotate di intelligenza artificiale, superano quella umana.
Lontano nel tempo, ad oggi, ma da tenere in considerazione con la dovuta attenzione”.