È uno dei più importanti fotografi del mondo. Il suo innovativo progetto “Ashes and Snow” gli ha procurato 15 milioni di spettatori nelle più grandi capitali mondiali. E c’è chi dice sia la mostra di un artista vivente più visitata del globo. Il canadese Gregory Colbert è sceso in riviera e si è raccontato venerdì nel teatro di San Patrignano.
Tra i più ammirati ed affermati fotografi contemporanei, il canadese Gregory Colbert con il progetto fotografico “Ashes and Snow” (alla lettera, Ceneri e Neve), ha visitato paesi quali India, Egitto, Africa e Antartide per più di 14 anni, alla ricerca di materiale e ispirazione.
Presentato a Venezia nel 2002, il progetto ha riscosso da subito un enorme successo di pubblico, ed è in seguito approdato nelle principali metropoli mondiali, da New York a Los Angeles, da Città del Messico a Tokyo, ricevendo oltre 15 milioni di visitatori, attirando su di lui importanti premi e giudizi entusiastici di critica e pubblico.
A rendere ancora più eccezionale l’incontro di San Patrignano, davanti ai 1.500 ospiti della comunità, il fatto che Colbert non è certo un artista che ricerca i palcoscenici. Tutt’altro. Nel 1992, dopo qualche tentativo come scrittore prima, e come regista cinematografico poi (strada che è invece risultata più congeniale alla sorella Laurie), Colbert è praticamente scomparso e per più di un decennio non ha partecipato a mostre, non ha pubblicato lavori, non ha mostrato (almeno pubblicamente) nemmeno una ripresa, dedicandosi interamente al proprio progetto artistico, e viaggiando in tutto (o quasi) il mondo “incivile”, in paesi quali India, Birmania, Sri Lanka, Egitto, Etiopia, Kenya, Namibia, Repubblica Dominicana e molti altri altrettanto esotici.
“Avevo deciso di esplorare il rapporto tra uomo e animale dal di dentro – ha spiegato al pubblico alla fine della proiezione del filmato durato un’ora – cercando di ristabilire le basi di reciproca comprensione che esisteva quando gli esseri umani vivevano in armonia con la fauna selvatica”. L’obiettivo del fotografo si è così posato, nel corso degli anni, su un vasto numero di animali, quali elefanti, balene, ibis, gru, linci, ghepardi, e molti altri ancora, sempre in un modo rispettoso dei loro tempi e del loro habitat, senza “voler mai imporsi all’animale o sorpassarlo”, come precisa Cobert. Insieme a loro, l’umanità nella sua varietà più spettacolare: monaci birmani, ballerini sufi e tribù indigene. E ambientazioni lontane da coordinate che le possano ricondurre ad uno spazio o ad un tempo precisi, così da recuperare e celebrare un’armonia uomo-natura ormai dimenticata. Un’armonia che è alla base della scelta del fotografo di riprendere sempre gli esseri umani con gli occhi chiusi perché, come spiega, “con oltre 7 miliardi di uomini presenti sul pianeta, che guardano, osservano e delineano in ogni momento e modo, ho preferito invece adottare lo sguardo degli animali”.
Moltissime le domande poste dal pubblico presente, alle quali il fotografo ha risposto senza risparmiarsi, mostrando in anteprima mondiale assoluta qualche minuto delle riprese del suo prossimo lavoro e parlando di sé e delle proprie aspirazioni, invitando tutti i presenti a perseguire, nella vita, i propri sogni. “Molti mi domandano se non ho paura a girare certe scene vicino ad animali carnivori. Ebbene, la risposta è scontata: certo che ho paura. Ma mi fa molto più paura l’idea di non vivere la mia vita seguendo i miei sogni e quello che mi rende felice. Avrei molte cose ancora da fare, molte possibilità di scegliere cosa dire o raccontare. Ma abbiamo una vita sola, splendida, selvaggia ed unica, ed è così che io ho scelto di vivere la mia. Fate altrettanto. Seguite anche voi i vostri sogni”.
Fabio Parri