Alle 10,50 di domenica, dopo la Messa a San Salvatore, in auto stavo velocemente raggiungendo San Lorenzo in Correggiano, accompagnato dalla radio. Come tutti i romagnoli ho la passione dei motori. Giusto per sapere le ultime notizie da Sepang. Ho solo il tempo per sentire le parole dell’inviato che si congedava: “La gara è stata sospesa per il gravissimo incidente a Marco Simoncelli. Non abbiamo notizie più precise, ma si teme per la sua vita”. Un pugno nello stomaco sarebbe stato più lieve e accettabile. Neanche un mese prima i miei ragazzi gareggiavano con lui nel “Karatella race”; mezza parrocchia aveva conquistato un autografo o una foto col campione corianese che come suo solito non si era fatto pregare… ed ora era lì steso su quella pista lontana, senza casco, senza neppure quella protezione che l’amicizia dei suoi tanti avrebbero voluto dargli in quel terribile momento.
Il primo pensiero è corso ai suoi familiari, al papà che sempre lo seguiva, alla mamma e alla sorella, che certamente da casa avevano assistito in diretta a tutta la scena e che ora forse smarrite si stringevano l’un l’altra.
Non c’erano notizie certe, ma la voce in chiesa era già corsa di panca in panca. Insieme abbiamo pregato per quel ragazzo, come sempre ricordiamo un qualche Marco sconosciuto, anche lui giovane, che muore di lavoro o sulle strade, senza riflettori e telecamere.
Dotti sociologi ci spiegheranno col tempo perché la morte di un ragazzone che amava andare in moto è divenuta un lutto collettivo nazionale e non solo locale. Certo l’amplificazione dei media, le terribili modalità della morte, ma c’è tanto altro.
In un mondo fatto solo d’immagine, Marco appariva come un personaggio vero, spontaneo, genuino, per certi aspetti d’altri tempi. In realtà, all’inizio, si era un po’ costruito, forse come forma di difesa, l’immagine, come diciamo noi riminesi, del “patacca”, nel senso migliore e positivo del termine. Credo che Fellini avrebbe amato il suo personaggio, un buono prorompente che sapeva scherzare dei proprio eccessi, con i quali faceva sorridere il mondo intorno, un sorriso di libertà. Ricordando un santo, antico e moderno insieme, sarebbe piaciuto molto a san Filippo Neri. Il mondo ha bisogno di un po’ di sana pazzia. La sua generosità lo portava ad appoggiare ogni iniziativa benefica; non era davvero difficile averlo come testimonial quando c’era da esprimere solidarietà e vicinanza a chi sta peggio.
I ragazzi di Coriano hanno scritto: “Ora insegni agli angeli ad impennare”. Beh!, fallo, caro Marco. Lì non c’è pericolo e non è vero che Pietro ritira la patente per qualche “traverso”.
Giovanni Tonelli