Al Comunale di Bologna l’abbinamento fra La Voix humaine di Poulenc e Cavalleria rusticana di Mascagni affidato alla regia di Emma Dante
BOLOGNA, 13 aprile 2017 – Due donne rifiutate dal proprio uomo: una di estrazione alto-borghese, l’altra popolana. È la loro sofferenza ad accomunare La voix humaine e Cavalleria rusticana, inedito dittico andato in scena al Comunale di Bologna, dove gli allestimenti del monodramma novecentesco di Poulenc, su libretto di Cocteau, e il corale atto unico rusticano, composto da Mascagni a fine ottocento e tratto dalla novella di Verga, erano affidati a Emma Dante. La teatrante palermitana, passata da qualche tempo con successo alla regia d’opera, invece di cercare un’improbabile liaison des scènes fra due titoli nati a sessant’anni di distanza – che però in campo musicale equivalgono a diverse ere geologiche – punta con efficacia sulla enfatizzazione del dolore causato da un abbandono.
Protagonista del primo pannello la carismatica Anna Caterina Antonacci che, indicata come Elle (“lei”) nel testo francese, non possiede nemmeno un nome. Durante il suo ultimo colloquio telefonico con l’amante fedifrago riesce a comunicare tutta la straziante disperazione di donna ormai sola: un progressivo declino verso l’annientamento. La regia – con le scene di Carmine Maringola e i costumi di Vanessa Sannino – la relega in una clinica le cui pareti si stringono progressivamente e dove zelanti infermiere e un medico di pelle nera le somministrano dei medicinali. Bellissima, avvolta in una morbida camicia da notte, parla a un telefono scollegato e, in preda a una sorta di lucido delirio, rievoca l’amato non solo a parole, come prevederebbe il libretto. L’uomo infatti si materializza in un sogno rosa confetto – ricordo di momenti felici o forse incubo del legame con la nuova amante? – fintanto che Lei gli avvolge il filo del telefono attorno al collo, soffocandolo, prima di scivolare nell’oblio farmacologico. Sul podio, Michele Mariotti ha diretto la splendida partitura di Poulenc, ottenendo precise e suadenti sonorità dall’orchestra bolognese e, al contempo, mettendo un po’ la sordina sulle asperità di una musica dai risvolti talora angoscianti.
Nella Cavalleria è invece Santuzza, rosa dalla gelosia, a svelare a compar Alfio il legame fra sua moglie e Turiddu, determinandone l’uccisione in un duello rusticano. Emma Dante concentra la sua attenzione su aspetti sacri e profani, fede autentica e superstizione, che convivono nell’opera di Mascagni (complice anche una tradizione che ha trasformato la sicilianità di questo atto unico in un retorico stereotipo). Realizza così un’operazione teatralissima, solcandola d’ironia: un carrettino siciliano dove al posto dei cavalli guizzano danzatrici con pennacchietti in testa; i veli neri che portano le donne, intesi come schermo per mostrare o vedere solo ciò che fa comodo; e, soprattutto, la sacra rappresentazione che ogni tanto attraversa la scena: guidata da un Cristo nero, porterà al suggestivo colpo di teatro finale. Le pie donne, infatti, dopo aver appoggiato un manto azzurro su mamma Lucia cui hanno appena ammazzato il figlio, si compongono in un gruppo plastico e spettrale, che evoca il famoso Compianto di Niccolò dell’Arca (nella chiesa bolognese di Santa Maria della Vita), ma soprattutto rimanda all’Urlo di Munch.
Peccato che un’operazione così potente sul piano visivo entri talvolta in rotta di collisione con quello musicale. Mariotti ha concepito una Cavalleria lirica ed elegiaca (struggente il commiato di Turiddu dalla madre, quando le chiede un bacio, come fosse una reminiscenza dell’Otello verdiano), attutendo fin troppo i contrasti drammatici che di quest’opera rappresentano il tratto distintivo. E se Carmen Topciu è una Santuzza forse un po’ tirata vocalmente, ma intensa ed espressiva, il Turiddu di Marco Berti si configura da subito come un perdente, senza però essere in grado d’illuminare il fraseggio con sfumature. Allo stesso modo compar Alfio, ruolo troppo pesante per Gezim Myshketa, è apparso privo di baldanza nel Cavallo scalpita e pallido nell’involo canoro di Ad essi non perdono. Vocalmente debolissima – ingolata nell’emissione – la Lola di Anastasia Boldyreva, che si pettina su un ballatoio pavoneggiandosi sotto lo sguardo di uomini estasiati dalla sua bellezza. Claudia Marchi è una sicura Mamma Lucia, ancora piacente: epitome di tante madri che forse sono le artefici dei disastrosi risultati ottenuti dai loro figli maschi.
Giulia Vannoni