Con le braccia levate in segno di lode e di fraternità, Francesco domina il paesaggio lasciandosi alle spalle il grattacielo di Cesenatico, le spiagge brulicanti estive di Rimini e i colli discotecari riccionesi. La statua del Santo d’Assisi è il primo incontro che si fa sul colle tufaceo di Santarcangelo. Siamo a due passi dal Campanone e dal centro storico tenuto d’occhio dall’Arco di Ganganelli, ma si respira tutta un’altra aria, e non per una mera questione meterologica.
Cantato anche da un maestro della poesia nazionale, il santarcangiolese Raffaello Baldini, il “colle Giove” ospita da 400 anni il convento cappuccino dove san Francesco continua a “calamitare” giovani (e meno giovani), attratti dalla figura e dalla spiritualità del Poverello, via preferenziale attraverso la quale abbracciare Cristo. “I francescani – ama ripetere padre Prospero Rivi – sono i giullari di Dio. La chiamata deve essere vissuta con gioia”. Una frase che il formatore dei giovani cappuccini pronunciava spesso ai suoi studenti inglesi, quando insegnava nel 1996/7 a Canterbury. Da due decenni è maestro dei novizi, qui a Santarcangelo. È lui che viene ad aprire, alla seconda suonata al campanello. Sotto gli occhiali larghi, un paio di occhi vispi che ti inquadrano senza abbassare lo sguardo. I “riflettori” sono tutti per la colonia dei novizi. La squadra (11 ragazzi) è variegata: all’appello han risposto piemontesi e liguri, casertani e bolognesi. Gli onori di casa li fa Stefano, 24 anni, di S. Agata Feltria. “Chi l’avrebbe mai detto? Mi sono sentito attirare visitando i luoghi francescani dei dintorni. Poi il cappuccino del mio paese mi ha indirizzato a S. Arcangelo ed eccomi qua”. Accanto a lui c’è la pattuglia degli stranieri. Sì, il noviziato di Santarcangelo parla le lingue del mondo: attualmente accoglie quattro ragazzi sloveni e un turco. Hasan, 30 anni, ha un passato (recente) da calciatore, serie B nel paese della Mezzaluna. “In realtà sono nato attaccante, poi in un incontro caratterizzato da due portieri espulsi, sono finito in porta e lì ci sono rimasto per 12 anni”. Sul suo passato calcistico preferisce non dilungarsi. Piuttosto mette l’accento sulla conversione. “Non sono nato cristiano, ma in una famiglia indifferente alla religione. – racconta – Il primo sacerdote cattolico (don Pier) l’ho conosciuto nel 1989. Ai francescani mi sono avvicinato più tardi, grazie a padre Raimondo Baldelli: è stato l’inizio di un percorso che mi ha condotto – sette anni fa – al battesimo. In quella occasione era presente anche la mia famiglia”. Il passaggio da battezzato alla vocazione religiosa non è stato accettato però di buon grado dalla famiglia. Non per questo Hasan/Francesco (il nome da battezzato) ha frenato il suo percorso sorprendente. Che ci fa un turco nel cuore della Romagna? Nessuna stranezza, “da 80 anni i frati dell’Emilia-Romagna hanno la custodia della Turchia” spiega padre Prospero. Qui si formano, prendono i voti e studiano fino al sacerdozio, e poi ripartono per operare nella loro terra. Dal 1997, anno in cui s’è aperto il noviziato, sono un’ottantina i ragazzi formati.
Il più maturo del gruppo è Mitja, 32 anni, sloveno, che arriva dai dintorni delle grotte di Postumia. Laureato in Economia, avviato commercialista, lontano dalla Chiesa, per lui non c’è stato un colpo di fulmine, ma un lungo percorso, condito da una notte oscura: “Non ho chiuso occhio, c’era un desiderio che mi ardeva il cuore”. Il compaesano Blaz, il più giovane, di anni ne ha 22. Luca, anch’egli sloveno (laureato all’Accademia di Belle Arti di Venezia) vanta invece il primato della barba più lunga. “Mi aspetto tanto, tantissimo da questa vita” attacca deciso da sotto gli occhiali spessi. Per Luca e i suoi tre compagni sloveni, c’è incertezza sul luogo del post-noviziato: non sanno dove si accaseranno, se a Lubjana o altrove. “Il cammino è lungo: formazione francescana e sei anni di teologia. È bello non sapere dove saremo destinati”. Solitamente l’incertezza e la precarietà spaventano l’uomo comune… “Il Signore è sempre pronto a scombinare i tuoi piani – gli fa eco Jaka – Così siamo più tranquilli”.
La colonia dei novizi è variegata. Marco, 23 anni, è approdato ai cappuccini dopo sei anni di seminario, alla ricerca di “una vita particolarmente fraterna”. Sulle orme di San Francesco c’è pure Nicola, 28 anni, maresciallo in caserma a Bologna (stesso reggimento della Giulio Cesare di Rimini). Fidanzato da tempo, si avviava verso il sacramento del matrimonio insieme alla ragazza con la quale divideva un cammino di fede. Ma il Signore lo aspettava su un’altra strada. “Merito della Gmg di Colonia. Sono tornato con le parole del Papa addosso e nel cuore un desiderio nuovo”. Risultato: adesso è un “soldato” al servizio di Francesco e della Chiesa, ma senza gradi, se non quelli della “vita spesa per il Signore e il suo Regno, non per se stessi, accanto ai poveri e ai deboli”. La truppa in saio e sandali è davvero eterogenea, ma è resa uniforme dalla regola. Alzata per tutti alle 6, mezz’ora dopo sono tutti in chiesa per pregare lodi. Messa e meditazione fino alle 8: colazione fraterna. Fino alle 10 studio poi lezione. Dopo Ora Media, il pranzo. Dopo i servizi alla casa, un po’ di tempo libero, l’Ufficio di Letture, poi ancora lavoro: c’è chi si occupa dell’orto e della lavanderia, del pollaio e della cantina. Dalle 17 in poi, studio, preghiera e meditazione fino alla cena.
Il noviziato è un momento intenso nella vita di un frate. Lo chiamano anche l’anno del deserto. Ma i ragazzi sono ragazzi anche con il saio indosso. Così una volta alla settimana ci scappa una partita al pallone, e qualche corsa tonificante per il parco appena fuori le mura del convento. Al sabato sera la famiglia francescana si siede davanti alla tv per il cinema. Classici, s’intende: le biografie di Francesco (da Pasolini alla Cavani), qualche opera di Tarkowski o dei Taviani, documentari come l’ultimo su Santa Giuseppina Bakita. Nelle ore serali, questi aspiranti frati hanno a disposizione una sala ricreativa degna di un circolo: ping-pong, biliardino e giochi da tavolo.
Fra Leo, il quattrozampe meticcio “mascotte” del convento, scodinzola allegramente. A lui, basta che qualcuno allunghi una mano con un tozzo di pane e una noce per stare in pace. Per i ragazzi non è sempre così facile. “Non ci siamo scelti per vivere insieme. – esordisce sincero Simone, torinese di 25 anni – Veniamo da esperienze diverse, e le discussioni sono all’ordine del giorno, più o meno accese. In questa chiamata c’è un dono di Dio: accogliere questo regalo, è l’occasione per realizzarsi come uomini, in una vita fraterna fatta di limiti e pregi”. La questione scuote i cuori. Jaka: “I fratelli sono una croce, ma una santa croce. A volte è difficile da sopportare, ma crescere significa amare gratuitamente nella fraternità”. Il padre maestro mette d’accordo la truppa in saio e sandali: “il noviziato non è un club con affinità speciali ma un gruppo di persone convocate dal Signore che rende ciascuno prezioso per gli altri”. Per padre Prospero questa è l’ultima stagione da maestro dei novizi. Dopo 20 anni di questa particolare missione cederà il testimone a padre Lorenzo, 40 anni, che già lo affianca nel lavoro e da due anni è il superiore della fraternità stabile, composta da cinque frati. “Sto bene con i ragazzi. Fare il maestro significa stare in mezzo a loro, mettersi a disposizione 18 ore al giorno. Ventidue occhi puntati sempre addosso: non si può barare”.
Sul tavolo ci sono quotidiani e stampa periodica (si scorge anche il Ponte). La lettura è esercizio quotidiano, fonte di riflessione e approfondimento. Il tema della mancata visita del Papa alla Sapienza tiene ancora banco. “C’è bisogno di spiritualità, è auspicabile un ritorno alla preghiera. È necessario riscoprire Cristo – è convinto Cristian, bolognese di 36 anni – spesso le parrocchie non soddisfano questo bisogno ma i non credenti attendono”. Ma c’è anche chi scuote il capo. Già si fatica a comprendere la figura del sacerdote, il religioso poi sembra un extraterrestre … “Chi non conosce la vocazione del frate non conosce questa vita bella. Una vita fraterna, che aiuta nella crescita, resa possibile per Cristo e nel nome di Cristo”. Suona la campana, chiama a raccolta per il pranzo. Oggi il convento passa un buon primo e un discreto secondo piatto. Sembra ieri che il convento doveva chiudere, oggi è quasi al completo: bisogna festeggiare.
Paolo Guiducci