Come in ogni storia, c’è anche una preistoria. E questa si chiama Rimini Studenti, il gruppo giovanile creato e seguito da don Giancarlo Ugolini all’inizio degli anni Sessanta. Stava di casa alla Gioventù Studiosa, in via Cairoli 69, e poteva contare sull’ospitalità di Maria Massani, grande amica del sacerdote. Rimini Studenti era nato nell’alveo della Giac, la Gioventù italiana di Azione Cattolica ma non ne era diretta espressione; rivendicava anzi autonomia e indipendenza. Il proposito era quello di promuovere una presenza cristiana nuova, non legata ai metodi dell’associazionismo ufficiale. Gli avversari laicisti la consideravano una propaganda clericale mimetizzata. Questi opposti giudizi restituiscono il sapore del tempo e fanno intuire quale fosse l’intuizione di don Ugolini. “Era un tentativo – mi disse un anno prima della morte – di fare qualcosa di fronte alla crisi dell’Azione Cattolica già evidente, anche se ancora per due anni andammo alle grandi adunate a Roma. Ero in orecchio, alla ricerca di qualcosa di nuovo”. Rimini Studenti (qui in due foto anni ’70) era un gruppo vivace: stampava un giornale molto diffuso, proponeva incontri e conferenze, organizzava gite e festival di complessi musicali. Era critico su quello che veniva definito il “burocratismo” della Chiesa e una sua alterigia nei confronti della realtà sociale. Aveva un difetto: quello che don Ugolini anni più tardi definì il “verbalismo”, cioè molte chiacchiere.
Sono i ragazzi di Rimini Studenti ad incontrare nell’estate del 1962 alcuni coetanei milanesi e forlivesi che già vivevano l’esperienza di Gioventù Studentesca, la nuova realtà avviata da don Luigi Giussani.
Il primo incontro
Il 24 luglio in via Cairoli doveva esserci una conferenza di letteratura, la docente invitata non potè arrivare per un guasto all’auto e così don Ugolini e i suoi ragazzi non sapevano che fare. Uno di loro, Sandro Bianchi, parlò di un gruppo di milanesi, molto vivaci (parola magica per dei giovani!) che si erano presentati in sede per chiedere una stanza per fare un incontro chiamato raggio. Quel giorno avevano organizzato una gita a San Leo. “Perché non andiamo a conoscerli?”. Alcuni andarono e quella fu la scintilla che fece mettere in moto una storia che quest’anno festeggia i suoi primi cinquant’anni.
Immaginiamo la vita degli adolescenti di mezzo secolo fa. Non c’era Internet, non c’erano Facebook e Twitter, non c’erano i telefonini (neppure i telefoni fissi erano molto diffusi), non ci si muoveva con facilità (niente scooter, pochi autobus pubblici), non c’erano le radio private e la televisione era ancora un privilegio di pochi. Eppure in questo contesto avviene qualcosa di “miracoloso” dal punto di vista della comunicazione. Il 24 luglio c’è il primo incontro a San Leo; poco più di due mesi dopo, il 4 ottobre, a Villa Verde, a Marina Centro, c’è il primo incontro pubblico di proposta della neonata GS riminese.
Qualcosa era accaduto; che cosa? Pier Luigi Pari, uno dei primi racconta: “Ci colpiva la libertà con cui stavano assieme e con cui si parlavano. Noi, quando facevamo un incontro di Azione Cattolica, discutevamo. Loro invece ti chiedevano di raccontare l’esperienza che vivevi. Per noi partecipare ad un incontro dove era valorizzata l’esperienza di tutti, di ognuno singolarmente, era una novità assoluta. E poi tutto questo generava una familiarità che nasceva e cresceva in fretta. Questi ragazzi di Milano erano affascinanti. Parlavano sempre della «comunità». Interventi del tipo «ero in difficoltà, in crisi, ma la comunità mi ha aiutato». La parola «comunità» ricorreva spessissimo. Noi eravamo interdetti, non sapevamo neanche cosa fosse una compagnia di questo genere”.
Marina Valmaggi aggiunge: “Uno dei temi di cui parlavano era la comunione, che era una delle domande che io avevo: come fare ad avere un buon rapporto con tutti? La cosa bella era che loro parlavano sempre in prima persona. Io ho capito questo, io ho visto questo… Per me erano veri perché comunque e dovunque avessero imparato qualcosa, lo dicevano in prima persona. Claudio Chieffo, che era fra i ragazzi incontrati a San Leo, nelle sue canzoni non ripeteva parole dette da altri, ma semmai il riverbero che su di lui avevano avuto”.
La vacanza a La Thuile
Dal 12 al 24 settembre 1962 si tiene a La Thuile in Val d’Aosta una vacanza dei responsabili del ramo maschile della Giac. Ricorda Antonio Smurro: “Ero iscritto all’Azione Cattolica nella parrocchia del Duomo ed ero delegato diocesano aspiranti. Nella primavera del 1962 partecipai all’ultima gita di Rimini Studenti, quella a Grado-Venezia. Poi in settembre ci fu questa vacanza a La Thuile dove era evidente che don Giancarlo fosse totalmente preso dall’incontro con GS appena avvenuto. Non solo riproponeva con entusiasmo le categorie dell’esperienza cristiana quali erano quelle comunicate da GS, ma anche dall’espressività era totalmente conquistato. Ricordo benissimo che ci faceva cantare Gs cha cha cha e lui si incaricava di dire il tormentone «amando» al termine della strofa. In quelle due settimane don Giancarlo è stato un vulcano. Ho visto un prete inesauribile e incontenibile nel raccontare quello che aveva incontrato, era un prete che diceva cose che lasciavano a bocca aperta”.
Quella che poi sarebbe diventata sua moglie, Emilia Guarnieri, incontrò l’esperienza di GS intercettando lo “strano” movimento di buste fra alcuni studenti all’inizio dell’anno scolastico. Contenevano l’invito al gesto di Villa Verde. In alto campeggiava una scritta. “Vieni e vedrai”. “Sono andata – racconta – e mi ha colpito che cantavano insieme, era una cosa inedita, allora non succedeva, non c’era la moda del gruppo di ragazzi che in cerchio si mette a cantare, per lo meno non c’era nel mondo medio borghese che frequentavo io. Era l’epoca in cui ascoltavamo i 48 giri nel giradischi, si andava alle feste da ballo, niente di più. Poi ricordo questo modo per me stranissimo di stare insieme. Avevo visto stare insieme a scuola, o alle feste, non frequentavo gruppi cattolici. Questa novità di gente in cerchio, che si parlava, mi aveva impressionato. Poi il gioco insieme, giochi che mi apparivano cretini, inquietanti. Era un mondo nuovo quello che mi si presentava. Non ricordo niente delle lezioni, dei contenuti.
Ci si è divisi poi per raggio, altra parola nuova, e lì ci si è dati gli appuntamenti successivi. Raggio, liturgia delle ore (noi nei primi mesi, poiché c’erano i doppi turni, dicevamo vespri all’uscita). Però sono uscita da quella giornata con l’idea che io quella «cosa» non l’avrei mollata”.
A macchia d’olio
Sono i primi vagiti di una storia nuova che nel momento in cui accadeva nessuno poteva immaginare dove avrebbe portato. Gioventù Studentesca arrivò a Rimini come un’ondata di aria fresca a movimentare il mondo giovanile e quello cattolico in particolare. Quel primo nucleo di poche decine di ragazzi che avevano accolto l’invito per la giornata di proposta del 4 ottobre si allargò ben presto a macchia d’olio coinvolgendo molte scuole riminesi. Per la prima volta si vedeva un gruppo giovanile che cresceva, si diffondeva, aggregava, senza un piano organizzativo prestabilito, ma semplicemente per contagio vitale. Il ragazzo che in GS aveva trovato qualcosa capace di rispondere alle sue domande esistenziali e di mobilitarlo in un impegno con la realtà si rivolgeva immediatamente ai suoi amici e compagni di classe per invitarli alla “cosa nuova” che stava accadendo nelle scuole di Rimini.
Valerio Lessi