In oncoematologia guarire si può!

    Anna ha appena due anni e mezzo. Una notte di fine gennaio inizia a piangere. La mamma si alza, va nella sua cameretta, accende la luce per rincuorarla, ma appena la vede in viso urla e chiama subito il marito. Sotto l’orecchio sinistro ha un gonfiore anomalo. Importante. In un primo momento pensa agli orecchioni ma non volendo correre rischi porta la piccina al Pronto soccorso pediatrico di Rimini. Lì, dopo una serie di esami, scopre una terribile verità: la sua bambina ha una leucemia. Inizia un lungo percorso fatto di lacrime e preghiere, ma anche di grande speranza. Quella speranza che tutti i giorni, medici e infermieri del Reparto di Oncoematologia Pediatrica, infondono a lei, al marito, ai parenti, agli amici. Oggi Anna è una bella bambina di sei anni che gioca e scherza con i suoi amichetti. Oggi Anna è una bambina sana. La sua è una delle tante storie che quotidianamente il professor Vico Vecchi, Primario del Reparto di Pediatria all’Infermi e i suoi collaboratori, vivono sulla loro pelle.
    Professore, sono tante le storie come quella della piccola Anna?
    “Guardi, le esplicito alcuni numeri. Secondo l’Associazione Italiana Registro Tumori, in Italia il tasso d’incidenza complessiva dei tumori maligni per ogni milione di bambini, di età compresa tra i 0 e i 14 anni, per anno è pari a 175.4, questo nel periodo 1998-2002. Per cui, seguendo questa stima, nel nostro paese il numero complessivo di nuove neoplasie maligne in età pediatrica è pari a 1.400-1.500 ogni 12 mesi. Guardando in casa nostra, possiamo dire che se a livello regionale si riscontrano 99 casi all’anno e nell’Area Vasta di Romagna, 25, in provincia di Rimini se ne registrano 7-8. Anche se negli ultimi 24 mesi i casi sono aumentati arrivando fino a dieci”.
    Cioè si ammalano più bambini?
    “No, i casi riminesi rimangono gli stessi, l’aumento è derivato dal fatto che arrivano nel nostro reparto bambini dai centri pediatrici della Romagna, espressione della stima e della considerazione conquistate sul campo”.
    Quando vi trovate di fronte a un bimbo malato come procedete?
    “L’approccio diagnostico e terapeutico in oncologia pediatrica è di tipo rigorosamente multidisciplinare, cioè si avvale di conoscenze e competenze di numerosi esperti nelle varie discipline specialistiche: realtà tecnico-scientifiche già esistenti e ben funzionanti all’Infermi. In primis la Chirurgia Pediatrica e via dicendo tutte le altre specializzazioni; il Centro trasfusionale; la Radiologia; il Laboratorio; l’Anatomia Patologica e la Rianimazione. Nell’assistenza globale del bambino oncologico, altri protagonisti entrano in campo e giocano un ruolo determinante, quali lo psicologo a tempo pieno, gli infermieri, gli animatori clown, il pediatra di famiglia, i parenti, gli amici, le associazioni di volontariato, tutti attori che si impegnano in un patto di alleanza terapeutica che viene stipulato con la famiglia ed è finalizzato alla realizzazione del progetto guarigione attraverso momenti di ascolto, di condivisione di ansie-angosce e di sostegno e supporto capaci di fronteggiare ed alleviare le sofferenze vissute durante l’intero periodo del trattamento”.
    Professore, quante possibilità ha un bambino che si ammala di guarire?
    “Le probabilità in oncologia pediatrica sono una concreta realtà. Conformemente ai risultati registrati dall’AIEOP (Associazione Italiana di Oncoematololgia Pediatrica) a livello nazionale è possibile affermare che il 75% dei pazienti pediatrici affetti da neoplasia maligna consegue la guarigione”.
    Cioè 3 su 4, una splendida notizia.
    “Sì, ma bisogna dire che la completa guarigione è un traguardo lento e sofferto che coinvolge non solo il paziente ma anche l’intero nucleo familiare, un difficile percorso fatto di tappe intermedie. Per prima cosa attraverso il trattamento anti tumorale, si consegue la guarigione biologica della malattia e cioè la totale scomparsa di segni biologici e sintomi di malattia, successivamente si raggiunge la guarigione psicologica attraverso un adeguato supporto psicologico che induce la consapevolezza mentale e comportamentale dell’avvenuta guarigione. La terza tappa è la guarigione sociale, cioè un naturale inserimento nella vita di tutti i giorni: nel mondo della scuola, del lavoro e dello sport. Infine l’ultimo passaggio per raggiungere la guarigione globale è l’adattamento alla guarigione sociale, cioè è necessario che la società accetti e viva il paziente guarito dal cancro nel modo più naturale possibile”.
    Anna ce l’ha fatta. Anna è guarita.

    Francesco Barone