Per gli austriaci il Ritratto di Adele Bloch-Bauer di Gustav Klimt rappresentava una sorta di Mona Lisa nazionale: peccato che il prezioso dipinto fosse stato trafugato dai nazisti ai legittimi proprietari ebrei. Se oggi andate a Vienna nella Galleria del Belvedere il quadro non c’è più: dovete infatti spostarvi alla Neue Galerie di New York dove è esposto dopo la lunga battaglia legale di Maria Altmann, nipote della modella utilizzata da Klimt per la dorata tela. Il film Woman in Gold diretto da Simon Curtis, già regista di Marylin, ripercorre la rocambolesca azione giudiziaria che coinvolse la signora, assistita dal giovane avvocato Randol Schoenberg (nipote del celebre compositore), sempre più attratto, professionalmente ed emotivamente, dalla riconquista del quadro. Lavorando su intrecciati piani narrativi tra gli anni ’90, ai tempi della causa giudiziaria contro il governo austriaco, non disposto a mollare l’opera, e i drammatici eventi che colpirono la famiglia di Maria a Vienna durante il nazismo, Curtis confeziona un film scorrevole e lineare, assistito dalla bravura di Helen Mirren che incarna la coraggiosa signora, in più occasioni spaventata dagli eventi, ma sorretta dal suo “principe del foro” (Ryan Reynolds) che si allontana progressivamente dalle esitazioni iniziali e si convince della necessità di vincere a tutti i costi la causa.
I temi della memoria, della giustizia e della lotta contro il sistema, emergono in un film che, pur con qualche passaggio un po’ semplicistico e retorico, assicura piacevolezza d’insieme, compreso qualche frame umoristico e altri emozionanti “storici” (la fuga di Maria e del marito dall’Austria) che “dipingono” la vicenda di una donna decisa a riprendere un quadro dal valore per lei più affettivo che economico.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani