Quando Mons. Biancheri, l’11 ottobre 1953, inizia il suo servizio episcopale, in tutto il territorio della diocesi sono già in atto profondi mutamenti sociali: l’esodo dalle campagne e il conseguente inurbamento e sviluppo demografico; la ricostruzione post-bellica è in fase di completamento; nasce una nuova forza imprenditoriale, che porterà ricchezza e benessere; si passa da piccole industrie artigianali a complessi più vasti e di risonanza nazionale; il turismo, in piena espansione, porterà enormi masse di persone dall’Italia e dall’estero. Questi fenomeni, che ebbero la loro massima accelerazione nel periodo fra il 1953 e il 1961, anche se non si esaurirono in questi anni ma continuarono a crescere nei successivi, portarono ad un cambiamento di mentalità e di strutture, che misero in discussione o affievolirono valori tradizionali, culturali e religiosi.
La fede non aveva più il supporto tradizionale della civiltà contadina, ma doveva misurarsi con i nuovi problemi posti da una civiltà industriale, a causa del turismo, del contatto con culture e religioni diverse. Fu anche un periodo di lotte sindacali e di tensioni sociali molto forti.
Lettura sapienziale
della situazione
Nacque in quel periodo pre-conciliare la coscienza che si dovesse leggere in profondità e con spirito di fede la nuova situazione.
“Si dice che la pastorale è la scienza del reale; infatti non si può impostare un lavoro pastorale senza prima conoscere l’ambiente e la mentalità, i problemi delle zone nelle quali dobbiamo lavorare; anche le cifre hanno una loro eloquenza e, a leggerle bene, dicono molto di più di quello che la loro arida apparenza fa vedere”. Così si esprimeva una nota redazionale del Bollettino Diocesano.
Mons. Biancheri con lettera del 24 giugno1962 a tutto il clero, così scrive:
“Problemi nuovi e di difficile soluzione hanno turbato la vita cristiana delle nostre parrocchie; basti pensare allo spopolamento delle nostre campagne, al fenomeno dell’inurbamento, allo spostamento quotidiano di lavoratori e studenti verso centri maggiori, al grande fenomeno del turismo. È ora di affrontare con decisione e coraggio questi problemi: dobbiamo conoscerli nella loro portata, nelle loro conseguenze sul piano morale e religioso; dobbiamo discuterli ed approfondirli; dobbiamo impegnarci ad avviarli a valide soluzioni. Perciò ho deciso di fare in Diocesi un’indagine su questi problemi per mezzo di questionari”.
La rilevazione socioreligiosa fu preparata con ampio questionario da Padre Toldo, della chiesa bolognese; aveva realizzato la rilevazione sui “messalizzanti” voluta dal cardinal Giacomo Lercaro.
Tutte le parrocchie (eccetto tre) risposero con impegno ai questionari: fu un’ottima occasione anche per i parroci per ripensare e vedere con maggiore oggettività la situazione della propria parrocchia.
L’elaborazione dei dati fu affidata all’Azione Cattolica Diocesana; e fu così rapida e precisa che nel settembre dello stesso anno (1962) i risultati furono presentati e discussi in una tre-giorni di incontri con tutto il clero.
Nuove chiese,
nuove strutture
Dalla discussione nacquero diverse proposte concrete di cambiamento nell’azione pastorale e soprattutto fu ribadita la necessità di edificare nuove chiese in zone periferiche o sul litorale, in forte espansione demografica e ormai lontane dalla loro chiesa d’origine.
Esigenza che mons. Biancheri aveva già rilevato nella sua prima visita pastorale del 1956-59: le nuove chiese “hanno bisogno di punti di appoggio materiali; cioè di sedi e di spazi vitali. Specialmente le organizzazioni giovanili hanno bisogno di attrezzature adeguate, altrimenti i giovani vanno a cercare altrove quello che non trovano attorno ai campanili delle nostre parrocchie” (lettera pastorale Quaresima 1960).
Nella Diocesi di Rimini il periodo pre-conciliare fu ricco di iniziative, che oggi potremo dire già in linea col rinnovamento del Concilio Vaticano II.
La pastorale diocesana già operava quella lettura “dei segni dei tempi”, che deve essere la base di ogni rinnovamento. Mons. Biancheri soleva dire “la Diocesi è una Chiesa in marcia”; già marciava nello spirito del Concilio.
Il Vescovo
del Concilio
Mons. Biancheri accolse con soddisfazione l’annuncio del Concilio, fatto da Papa Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959, e si sentì in piena sintonia con le intenzioni del Papa: “che la Chiesa, pur non distaccandosi dal sacro deposito della verità, ricevuto dai Padri, dovesse guardare al presente, alle nuove condizioni e forme di vita, introdotte nel mondo moderno”.
A questa piena accettazione del Concilio contribuì anche la sua precedente formazione culturale e spirituale, e anche il suo stile pastorale.
Mons. Bianchieri amava il dialogo fraterno, franco, cordiale; del suo interlocutore aveva un profondo rispetto, cercava di scoprire l’anima di verità e di bene in ogni persona.
Era aperto a tutte le nuove forme associative, specialmente giovanili, e a tutte le attività pastorali che rinnovassero la vitalità delle parrocchie.
Era aperto al nuovo, ma nel rispetto della tradizione; osava rischiare e incamminarsi su vie nuove, non bocciava mai una nuova iniziativa, purché buona.
Dialogo
e collaborazione
Desiderava collaborazione e compartecipazione di tutti, sacerdoti religiosi, laici ai problemi della Chiesa. Viveva il suo mandato episcopale con spirito di servizio, con distacco e povertà e anche con grande umiltà, diceva spesso: ripetendo una frase di Paolo VI “sento i miei limiti fino alla sofferenza”. Era uomo del suo tempo, non del passato: seguiva con intelligenza i cambiamenti culturali e sociali della realtà in cui viveva. Scriverà in una sua lettera pastorale “Il Signore non ci ha fatto uscire dalla storia. Per questo siamo chiamati ad essere pienamente figli del nostro tempo”.
Aveva coscienza di condurre la Chiesa in un periodo di cambiamenti profondi: di guidarla per un cammino lungo e difficile, ma guardando in alto e avanti con fiducia e speranza.
Nel 1974 a conclusione di una tre-giorni di aggiornamento ribadirà con forza questa sua convinzione “la Chiesa cammina: non si attarda su posizioni comode, non sta ferma: e questo cammino è ricerca di costante fedeltà al suo Signore, che sempre la precede e nel suo Spirito la chiama; una Chiesa attenta ai segni dei tempi.
Così è e deve essere la Chiesa di Dio che è in Rimini: e nessuno deve ritardare o deviare il suo cammino”. (1-continua)
don Fausto Lanfranchi