Se avete un attimo di tempo da spendere, mettetevi comodi. Magari sulla vostra poltrona di casa, o se siete in giro, su una sedia o su una panchina. Poi provate a tornare indietro nel tempo. Fino alla vostra infanzia. Che il viaggio sia più o meno lungo, non importa. Ciò che interessa è che vi ricordiate, magari, quando piccini, sguazzavate felici in Adriatico. Ora, chi in quei momenti non ha almeno per una volta, chiuso gli occhi, tappato il naso per poi infilare la testa sott’acqua? Magari per fare solo una gara di resistenza con gli amici o magari per vedere cosa si nascondesse sul fondale. Un’esperienza unica che ti permetteva (e ti permette) di lasciare un mondo per un altro. Più silenzioso, più oscuro, più affascinante. Un’esperienza che con l’andar del tempo qualcuno magari ha abbandonato e che altri, invece, hanno approfondito. Prima con l’aiuto di una maschera e di un boccaglio, poi con due pinne ai piedi, poi indossando una muta, per finire con il mettersi una bombola di ossigeno dietro le spalle. Conquistando così a tutti gli effetti lo status di subacqueo. Non prima, naturalmente, di aver seguito un corso. E qui nascono i primi problemi, soprattutto se si vuole cercare di capire quanti siano veramente i sub in provincia di Rimini.
“Il motivo è molto semplice – sottolinea Alberto Agati, delegato provinciale della Federazione Pesca Sportiva e Attività Subacqua – ci sono due tipi di brevetto: uno, riconosciuto a livello di Coni e a livello statale, l’altro a livello puramente sportivo. Uno ti permette di partecipare anche a operazioni di protezione civile o fare il salvataggio, per esempio; con l’altro, invece, diventi sì sub ma puoi fare solo quello. Detto questo posso dire che attualmente il primo brevetto è in mano a circa 600 persone mentre il secondo varia ogni anno. Diciamo che in provincia ci saranno grosso modo mille, mille e cinquecento sub in totale”.
Per semplificare ancora di più, il brevetto sportivo è soprattutto rilasciato dai cosiddetti Diving (a Rimini ce ne sono due: uno in via Coletti, l’altro vicino alla nuova Darsena) mentre quello “riconosciuto” lo si può acquisire seguendo i corsi del Romagna sub o delle due sezioni Gian Neri di Rimini e Riccione. Insomma, per andare sott’acqua ci vuole una preparazione ad hoc perché con il mare non si scherza.
“Assolutamente no – spiegano dalla sede del porto della Gian Neri – ogni sub deve sapere che quando scende sotto il livello dell’acqua entra in un altro mondo. Bello, affascinante, intrigante ma dannatamente pericoloso se non si sta attenti. Ecco perché nei nostri corsi cerchiamo di parlare di tutto: dalla biologia marina alla boa per segnalare che in quel punto c’è un sommozatore. Senza dimenticare che almeno una volta all’anno andiamo a far una visitina alla camera iperbarica di Ravenna”.
Qualcuno si chiederà: ma a Rimini cosa c’è da vedere? La sabbia.
“No, no di cose ce ne sono – interviene Pierluigi Lanzoni del Padi di via Coletti aperto da ben 23 anni – soprattutto in quest’ultimo periodo l’Adriatico è tornato ad essere veramente ricco di pesci e non solo. Poi c’è il relitto del Paguro, una vecchia piattaforma sprofondata diversi anni addietro, i delfini che sono tornati… Ecco perché, e credo di parlare a nome di tutti i sub riminesi, vorremmo la nascita di una zona protetta o parco marino che dir si voglia. E comunque, ogni gruppo, organizza sempre uno o più viaggi: dall’isola di Ponza al Giglio oppure vere e proprie escursioni in mari ricchi di tesori, penso al Mar Rosso o alle Maldive tanto per citare due delle destinazioni preferite”..
Insomma, di acqua sotto… i piedi ne è passata da quei timidi tentativi infantili.
Francesco Barone