A due passi dalle elezioni europee, il vento gelido di questi giorni di fine aprile è anche immagine del gelo di valori e contenuti che sta attraversando l’Europa intera e non solo. Ora che la generazione che ha ricostruito l’Italia, ma anche quella di tutto il nostro continente dopo la guerra, si sta pian piano spegnendo, svanisce con chi ce l’aveva donata anche la memoria collettiva nata dopo i totalitarismi. È il segno della incapacità umana di imparare dalla Storia e di saperla trasmettere alle generazioni a venire.
Le tante polemiche nei giorni dell’anniversario della Liberazione sembrano affermare che la democrazia, costruita a fatica sulle macerie di dittature e della guerra, non è più un valore da difendere. Il 50% dei non partecipanti al voto in Basilicata, come nelle altre ultime elezioni regionali, mostrano il distacco della politica, ormai capace solo di trasformare ogni dibattito in uno scontro polarizzato sugli estremi, con l’avversario sempre più qualificato come un nemico. Preoccupa tutti noi l’avanzare pericoloso delle destre estreme, come del resto il ritorno sempre più acclamato di retoriche belliciste.
Anche le parole del Papa in questo contesto risultano rivoluzionarie e vengono accolte con fastidio da commentatori di ogni colore, a volte anche nel mondo cattolico, ancora in parte legato alla dottrina della possibile “guerra giusta”, di agostiniana memoria, dimenticando che già negli anni ’60 Martin Luther King affermava che di fronte all’invenzione della bomba atomica, l’unica scelta che abbiamo è “ la non violenza o la non esistenza”. E su questa linea si sono mossi tutti i papi da Paolo VI in poi.
A questo punto Auschwitz, come tante tragedie del mondo di ieri e di oggi (i genocidi di Cambogia, Ruanda, Congo, Sudan…), con le sofferenze che ogni conflitto produce, svanisce come fumo al vento. La memoria stessa delle leggi razziali, della volontà terribile di eliminare l’altro, è come cancellata. Lo stesso popolo ebraico sembra aver perso il ricordo di quel che ha sofferto per come si comporta oggi a Gaza e nei Territori
Occupati. La stessa nuova normativa europea per il contenimento degli immigrati ha incontrato le critiche dei Vescovi europei: «Il pericolo è che questo nuovo patto aumenti la sofferenza dei migranti e richiedenti asilo, producendo massicce detenzioni ai nostri confini, anche di famiglie e bambini piccoli, e la deportazione di persone verso Paesi terzi che non sono così sicuri come spesso vengono descritti».
“Mai più” è lo slogan che torna attuale dopo ogni tragedia e quando lo si pronuncia è, ahime!, sempre troppo tardi. 30 anni fa, nel dramma del Ruanda, l’idea che lo sterminio di un’intera popolazione potesse essere impiegato come una normale altra strategia di guerra suscitò l’orrore del mondo. Oggi sembra diventato prassi.
Impareremo mai dai nostri errori?