Gli stranieri abbandonano il nostro paese? Stando ai numeri non sembrerebbe così. Prendiamo la nostra provincia che al primo gennaio 2011 registrava la presenza di 33.113 stranieri residenti e al primo gennaio dell’anno dopo ne registrava 34.901 con un saldo positivo di 1.788 unità. Stando agli ultimi numeri diffusi dall’Ufficio Statistico della Provincia di Rimini, un calo si può però segnalare: quello dell’incremento di residenti stranieri da un anno all’altro. Tra il 2010 e il 2011 si sono registrate 2.564 persone in più e dal 2011 al 2012 come abbiamo già detto solo 1.788: un saldo negativo di 776 unità. Resta il fatto che nel corso del 2011 ben 700 persone hanno lasciato la provincia: 630 verso altre regioni d’Italia e 70 verso altri stati esteri. Basta per spiegare quello che sta succedendo? Per leggere nei numeri quello che quotidianamente ci viene raccontato dalle persone che incontriamo per strada forse dovremo attendere di guardare le tabelle del 2013 o forse del 2014. Suor Elsa, in prima linea al centro d’ascolto della Caritas di via Madonna della Scala, a Rimini, racconta una storia diversa, una tendenza, una serie di problemi dei quali le persone (e non i numeri) parlano con lei e con gli altri operatori. Nell’ultimo anno, racconta suor Elsa, “sono tante le persone che mi hanno detto di non riuscire più a farcela con le spese quotidiane e che hanno deciso di lasciare l’Italia”. Almeno tre le famiglie che recentemente sono tornate a casa.
Suor Elsa, cosa sta succedendo?
“Non possiamo generalizzare. Non ho numeri sui quali appoggiarmi, ma ho il lavoro di tutti i giorni e i volti delle persone che vengono a raccontarmi le loro storie e i loro problemi”.
Chi torna a casa?
“Ti posso raccontare di una famiglia peruviana con tre figli. La mamma era in Italia da 7 anni. Me la ricordo appena arrivata, una ragazzina. Poi ha conosciuto suo marito e insieme hanno messo su una famiglia. Lui faceva l’imbianchino. Sono stati bene”.
E adesso?
“Lui ha perso il lavoro, non pagano l’affitto da 8 mesi e sono indietro anche con le bollette. Allora ha deciso di mandare la famiglia a casa: la moglie e i 3 figli (uno doveva ancora nascere) perché non riusciva più a mantenerli. Nel corso degli anni sono riusciti a mandare a casa dei soldi e a costruire una casa. Una casa che adesso è salvezza”.
Il marito-padre è ancora qui?
“Ci ha provato. Ha cercato un altro lavoro. Ha imbiancato un albergo, un ristorante e qualche appartamento ma non c’è stato verso. Il 22 dicembre è tornato in Perù a vedere la famiglia e il figlio appena nato e si è reso conto che in Perù ci sono possibilità di lavoro per uno come lui. Per cui è definitivamente andato”.
Altre famiglie nello stesso stato?
“Sì, due famiglie: una marocchina, l’altra tunisina. Troppo poco lavoro. Hanno deciso di mandare le mogli e i figli al paese di origine dove possono vivere con i genitori. Nei loro paesi è forte il welfare familiare”.
E chi rimane, gli uomini, come riescono a sopravvivere?
“Mi hanno detto: <+cors>«Noi siamo uomini e ci arrangiamo»<+testo_band>. Vengono da noi, alcuni dormono in macchina oppure alla Capanna di Betlemme. Mi è capitato anche di indirizzarli verso Forlì, Cesena, Ancona e Fano. Anche lì ci sono dei luoghi dove possono essere accolti. Girano un po’. Sopravvivono”.
Ma lei suor Elsa come li consiglia? In fondo queste persone hanno figli nati in Italia, con un futuro davanti.
“I casi sono tutti diversi. Diciamo che nemmeno in Italia le cose vanno bene. Per prima cosa chiedo se nei loro paesi hanno una casa oppure qualcuno che li possa aiutare. E se qui in Italia hanno una situazione che non si può recuperare, insieme valutiamo anche il ritorno a casa… ma è veramente difficile e ci ragioniamo insieme”.
Sono solo gli uomini ad andarsene?
“No. Anche le badanti sentono i morsi della crisi. Proprio tra qualche giorno se ne va una donna che è qui da tanti anni. Mi ha chiesto se si poteva fermare qualche giorno in più a dormire qui in Caritas perché il pullman per la Romania si mette in strada sabato”.
Valigia in mano, si parte.
Angela De Rubeis