L’immagine della Porta Santa che Papa Francesco apre a Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana. Il tenersi per mano contro il tribalismo, le divisioni tra gruppi etnici, spesso causa di grandi conflitti, a Kasarani nella repubblica del Kenya. La testimonianza dei martiri ugandesi, uccisi perché cristiani. Si muove lungo questi tre momenti il viaggio in Africa di Papa Francesco. Viaggio che in qualche misura è metafora del suo pontificato: una chiesa in uscita, che guarda alle periferie dell’esistenza, che fa la scelta preferenziale per i poveri e che nella misericordia vede la chiave per leggere i possibili, veri cambiamenti nella vita delle persone e delle comunità.
E se l’immagine delle mani che si uniscono nello stadio di Kasarani è un messaggio contro quel radicalismo che costruisce muri e apre la strada al conflitto, ecco la testimonianza di coloro che sono stati coraggiosi nel perdono, nell’amore: i martiri. Con la loro testimonianza, ci dicono che sono la<+cors> “fedeltà, l’onestà, l’integrità della vita che portano quella pace che il mondo non può offrire”<+testo>.
Per Francesco bisogna avere cura per questo mondo, resistere alla tentazione di percorrere quelle scorciatoie che portano a prevaricare l’altro. È il grande ostacolo della corruzione che mina alla base il bene comune, esclude l’altro, non promuove la dignità della persona.
Le tre nazioni visitate da Papa Francesco in modi diversi vivono le difficoltà di tutto il continente: grandi ricchezze concentrate nelle mani di pochi; una diffusa povertà che rende quasi difficile, se non impossibile, lo sviluppo di un popolo.
In Kenia, ad attendere Papa Francesco in Kenia, c’erano anche due colleghi riminesi, Francesco Cavalli e Diego Zicchetti, accolti per una settimana nella Comunità di Koinonia con padre Kizito. Francesco e Diego racconteranno i giorni africani e l’incontro col pontefice di Evans, uno dei ragazzi accolti nei centri di Koinonia, in un documentario che Icaro Communication realizza per Tv2000.
Francesco chiede all’Africa, e soprattutto ai giovani, di lasciarsi alle spalle tutto ciò che di negativo ha segnato la vita delle loro nazioni. E mette in guardia da chi usa il nome di Dio per portare divisioni, violenza, guerra, morte.
Aprendo la Porta Santa (è la prima volta che un Papa apre un Giubileo al di fuori di San Pietro), il Papa ricorda che “anche là dove regnano la violenza, l’odio, l’ingiustizia, la persecuzione, i cristiani sono chiamati a dare testimonianza del Dio amore”. Ed è in questa chiave che si può e si deve leggere anche l’appello a coloro che “usano ingiustamente le armi”. Appello non solo a deporle, ma ad armarsi “della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace”.
Fabio Zavattaro, (Sir)