La guerra, per i riminesi, ha termine il 21 settembre 1944 con l’arrivo in città delle truppe alleate. Rimini dopo aver subito per una decina di mesi la furia dei bombardamenti a tappeto da parte delle fortezze volanti anglo-americane è ridotta in un cumolo di macerie. Il centro storico è devastato; la ferrovia un insieme di rottami; il porto ha gli argini rotti ed è ostruito da carcasse di barche. La marina – oggetto della nostra indagine – è irriconoscibile. Decine di alberghi e pensioni polverizzati; centinaia di ville diroccate; strade, viali e giardini sfigurati; dappertutto grovigli di filo spinato e reticolati. Il lungomare è completamente distrutto e spezzato dai resti delle opere di fortificazione dei tedeschi; l’arenile, violentato dalle bombe e sballottato dalle mareggiate e dal vento, è un ammasso informe di dune. Quando si farà il bilancio della violenza e dei danni sofferti dalla città, le statistiche degli uffici tecnici comunali accerteranno gli orrori del conflitto: 396 tra bombardamenti aerei, navali e terrestri; l’82 per cento degli edifici colpiti, di cui la metà in modo irrecuperabile. Rimini conquisterà il terrificante primato della città italiana con popolazione superiore ai 50.000 abitanti più danneggiata dalla guerra.
La marina è un cumulo di macerie; per le strade scorrazzano solo gli automezzi dell’esercito di occupazione.
Alla desolazione del quadro appena descritto va aggiunta la prepotenza delle forze alleate. Il lido, dal porto a Bellariva, per la sua posizione topografica idonea all’acquartieramento di truppe, è interamente occupato dai militari. Sono loro che comandano e che dettano le regole del gioco. Ai vincitori tutto è lecito. Vae victis! E come era accaduto con i tedeschi qualche mese prima, la marina subisce, per opera dei nuovi arroganti padroni, soprusi ed espropri. Le poche abitazioni scampate alla furia dei bombardamenti sono requisite e davanti agli edifici vistosi cartelli vietano l’accesso ai civili. Per le strade scorrazzano solo gli automezzi dell’esercito di occupazione e agli angoli delle vie le indicazioni sono scritte in inglese. Il Grand Hotel, il Kursaal, l’Hotel Savoia sono sedi militari; la Villa Rosa ed altri alberghi, club per gli ufficiali. Il tutto, naturalmente, a scopo strategico. E a scopo strategico il Comando alleato cerca di frenare il rientro degli sfollati. Il tentativo, tuttavia, è disperato ed inutile: il desiderio dei riminesi di ritornare nelle proprie abitazioni è più forte dei divieti e dei posti di blocco militari.
Tra i primi a “scendere” a Rimini da San Marino è don Marino Travaglini, parroco di Santa Maria Ausiliatrice.
Tra i primi a “scendere” a Rimini da San Marino, dove ha soggiornato nel periodo più critico dei bombardamenti, è don Marino Travaglini, parroco di Santa Maria Ausiliatrice e direttore dell’Opera salesiana riminese dall’ottobre del 1938. A lui si deve la costruzione del campanile, ultimato nel 1940, un’opera imponente e costosa che completa definitivamente l’originario progetto della chiesa stilato dall’architetto bolognese Giuseppe Gualandi.
La piccola comunità salesiana, composta dal parroco e da don Luigi Luzio, direttore dell’oratorio, don Pietro Piffari, anziano confessore, e don Alfonso Rossi, cappellano militare oltre che aiutante nell’oratorio, abbandonata la parrocchia dopo il terribile bombardamento del 26 novembre 1943 si era rifugiata nella casa parrocchiale di Monte Tauro. Quando anche quella zona non fu più sicura i quattro salesiani, sulle orme della gran massa degli sfollati, raggiunsero la vicina repubblica del Titano.
Don Travaglini, accompagnato da don Rossi, arriva nella sua parrocchia gli ultimi giorni di settembre del 1944. Il tragitto fino alle porte della città i due sacerdoti lo compiono su di un carro trainato da un vecchio ronzino appartenente ad un contadino di Monte Tauro; da Santo Spirito al mare, a causa dei blocchi stradali, procedono a piedi. Lo spettacolo che incontrano lungo il cammino è raccapricciante. Allo squallore delle distruzioni si aggiungono le scene di disperazione di chi non trova più la propria abitazione, di chi fruga tra le macerie e il fango alla ricerca dei propri morti e di chi, da giorni, tenta invano di trovare qualcosa per sfamarsi. Un’umanità dolente e abbruttita da lutti e miseria.
Gli inglesi hanno installato il loro quartier generale al piano terra dell’istituto salesiano.
Giunti a destinazione i due salesiani notano con gioia che la chiesa ha retto alla furia delle bombe. Della integrità del campanile, ben visibile dalle colline, erano già a conoscenza. Un ordigno, tuttavia, esploso sul sagrato, a pochi metri dal tempio, ha spostato leggermente all’indietro l’asse verticale della chiesa scheggiando la parte anteriore e procurando gravi danni ai fregi. La deflagrazione, inoltre, ha fatto cadere il rosone centrale della facciata e ha messo fuori uso l’organo; ha scardinato i finestroni e rovinato le stupende vetrate; ha provocato crepe al soffitto e alle pareti con abbondanti cadute d’intonaco; ha ricoperto il pavimento di calcinacci. L’istituto – saccheggiato abbondantemente dai tedeschi, che per recuperare materiale edilizio da utilizzare per le fortificazioni antisbarco sul lungomare si erano permessi di asportare gli infissi demolendo addirittura alcune pareti – ha subito un ulteriore danneggiamento al tetto e alla fiancata esterna ad opera dell’artiglieria pesante alleata. Uno squarcio al secondo piano dell’edificio dà l’idea della violenza della guerra. Il teatrino, tra la chiesa e la canonica, è completamente distrutto.
Ma alla tragedia si aggiunge la beffa: l’istituto è occupato dagli inglesi, che al piano terra hanno installato il loro quartier generale. Il campo dell’oratorio è letteralmente invaso da camion, jeep e motorette militari. A don Travaglini viene impedito l’ingresso nella propria casa e persino nella propria chiesa. A nulla valgono le sacrosante ragioni del sacerdote che per una settimana è costretto quasi tutti i giorni a fare la spola dalla casa parrocchiale di Monte Tauro – dove ha ripreso a dimorare – a Rimini nella speranza di ottenere il lasciapassare inglese. Sarà l’ingegnere Alberto Marvelli, nella sua qualità di membro del Comitato di liberazione nazionale (CLN), che sbloccherà la situazione (1). Il 10 ottobre il parroco di Santa Maria Ausiliatrice, dopo un anno di forzato esilio, rimette piede nella sua chiesa e va a pernottare nel sottofondo del tempio: un ripostiglio, umido e buio, utilizzato come rifugio durante il periodo delle prime incursioni aeree. La soluzione non è ottimale, ma perlomeno consente a don Marino di richiamare a Rimini i confratelli, di iniziare il riassetto della chiesa, di dar corso alle quotidiane celebrazioni liturgiche; di riprendere, insomma, l’opera di apostolato con i parrocchiani che, alla spicciolata, rientrano dai loro rifugi.
Con il sopraggiungere dell’inverno il freddo comincia a far da contorno alla fame
La situazione in questo frangente è angosciosa: si vive tra mille difficoltà e disagi. Le materie prime scarseggiano e non si trovano il carburante e i mezzi di trasporto per procurarle. Ai più bisognosi viene dato un sussidio. Con l’aiuto degli alleati si provvede allo sgombro delle macerie dalle vie principali della marina, ad una provvisoria illuminazione, alla riapertura delle condutture dell’acqua potabile e al riassetto delle fognature. A novembre le pessime condizioni igieniche determinano una epidemia di tifo che farà 38 vittime. Con il sopraggiungere dell’inverno, il freddo comincia a far da contorno alla fame e alla miseria. Per riscaldarsi alla meno peggio, molte persone sono costrette ad abbattere gli alberi superstiti dei viali. A Natale non c’è nulla da festeggiare tranne il fatto di essere vivi. E ringraziare il Signore per aver avuto salva la vita è la riflessione che il parroco don Marino Travaglini rivolge ai pochi fedeli presenti alla celebrazione della messa delle otto nella sua chiesa di Santa Maria Ausiliatrice.
Note
1) In accordo con il comando alleato, il 23 settembre 1944 Alberto Marvelli è nominato assessore della prima giunta municipale che si costituisce a Rimini espressione del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). Il 7 ottobre Alberto Marvelli sarà riconfermato assessore nella giunta retta dal sindaco Arturo Clari.