Coprono un’infinità di settori. Le specializzazioni sono attualmente trentadue. C’è chi si occupa di chimica alimentare, edilizia, elettronica, meccanica, telecomunicazioni… fino alle costruzioni aeronautiche. A regolare la professione del perito industriale ci pensò un decreto regio del 1929 che ne istituì l’albo. Questi maestri della praticità si preparano negli istituti tecnici industriali (ITI), oltre che nei più recenti corsi di laurea triennale. Anche la Provincia di Rimini ne ha sfornati parecchi nel tempo. Sono quasi 400 gli attuali iscritti al Collegio provinciale, il cui presidente Gilberto Leardini ricorda che >“Rimini gioca un ruolo fondamentale nel settore della prevenzione incendi. Da tredici anni ospitiamo il convegno nazionale che dà vita alle normative e agli orientamenti per la formazione alla presenza dei massimi vertici dei Vigili del Fuoco. Un nostro collega perito di Misano, Maurizio Vandi, è nel comitato romano per la stesura delle norme”. Un’altra importante famiglia di periti è quella degli ispettori per la sicurezza nei cantieri, dato che “continuano ad avere il primato degli infortuni sul lavoro”. Capita che l’esperienza riminese valichi le Alpi. “Abbiamo periti all’estero che, grazie alla prestigiosa ditta Focchi di Poggio Torriana, lavorano alla progettazione di grandi strutture”.
Il momento, però, è dei più difficili.
“Le liberalizzazioni hanno fatto sorgere prestatori professionali a cui vengono affidati incarichi in seguito ad una sola ricerca, quella del minor costo. Il ribasso dei prezzi non tutela l’utente. Se ci si fa male ad un ginocchio si va dal medico bravo che opera in un contesto professionale”.
Un esempio?
“Su internet c’è chi vende certificazioni energetiche a 49 euro. Peccato che queste richiedano un lavoro di almeno sei ore, più due sopralluoghi. Che siano disonesti e le compilino a tavolino?”.
I periti industriali hanno fatto la fortuna dell’Italia del dopoguerra, ma in un mondo ipertecnologico dove la Silicon Valley ha messo nel cassetto anche l’era post-industriale, i loro profili professionali sono ancora attuali?
“I tecnici intermedi sono indispensabili e multidisciplinari – risponde il presidente – sono pratici e danno risposte alla mappa dei bisogni del cittadino comune. Non servono ingegneri di alto livello per tracciare il confinamento di un podere a Monte Colombo”.
Questo è anche un periodo di riforme. Collegio dei periti e Ministero della Pubblica Istruzione stanno lavorando a ridurre i campi di pertinenza da 32 ad 8 e di elevare il livello di formazione alla laurea triennale per poter accedere all’albo.
“Una scelta giusta, così si arriverà nel 2020 ad un livellamento verso l’alto della preparazione scolastica”.
L’affondo di Verdinelli. Non è dello stesso parere, Elio Verdinelli, ex presidente del Collegio riminese, per anni alla guida della formazione professionale del Centro Zavatta. Non usa mezzi termini nel definire la triennale per i periti industriali “tre anni di badurla”. Per lui tale corso di studi non è legato al mondo produttivo.
“Sono anni di approfondimento scientifico in cui non c’è collegamento tra teoria e pratica. Prima, chi frequentava un istituto tecnico poteva, all’uscita, inserirsi subito nelle attività produttive. Con la riforma, i diplomati finiscono in un corso dove non insegnano che cos’è la cazzuola o il mattone”.
Uomo concreto e d’altri tempi, Verdinelli si è diplomato nel ’58 e ha visto il boom economico materializzarsi sotto i suoi occhi.
“Le scuole industriali italiane sono state una delle più grandi esperienze scolastiche europee. Ma la Riforma Gelmini (voluta dalla Confindustria) si concentra sul titolo e non sulla competenza. Il perno di tutto dovrebbe essere lo studente, il collegamento tra teoria e pratica”.
Non risparmia critiche anche per lo stage.
“Uno strumento che manda gli studenti a spazzare le aziende. Un palliativo della formazione, non educativo: non dà la possibilità al giovane di inventare, costruire. L’industria deve giustamente pensare a fare soldi. Non ha tempo per educare”.
E più in generale, “sono preoccupato per la scuola nel suo complesso. Le serve dignità ancor prima del denaro”.
Mirco Paganelli