Quando si parla di un amico che ha camminato per tanti anni assieme a noi, le parole che si dicono appaiono sempre inadeguate a descrivere la sua personalità.
Pensando a don Tonino la prima nota che emerge è la sua vita di fede. Abbiamo passato l’adolescenza e la giovinezza insieme in seminario e poi da giovani preti . Forse alcuni di noi vivevano il seminario anche in forme scanzonate, non sempre nell’osservanza piena di tutte le regole: Tonino aveva un suo modo di essere amico e compagno di strada con noi. Condivideva tutto, ma si notava in lui una determinazione spirituale che lo rendeva più adulto di noi, come se vedesse più lontano e vivesse un rapporto personale con il Signore più convinto di quanto accadeva a noi.
Una seconda nota è il suo profondo amore alla Chiesa. Abbiamo vissuto insieme il ’68, il tempo della contestazione: a volte in alcuni di noi i toni di critica alle istituzioni si accendevano. Don Tonino viveva con attenzione questo tempo del dopo Concilio, ma non si è lasciato mai prendere da atteggiamenti esterni, superficiali di ricerca di cambiamento. Ho avuto l’impressione che anche in quei tempi certamente non facili per la vita della chiesa, sia stato particolarmente impegnato a cercare nel rinnovamento conciliare le grandi linee di rinnovamento generate dallo Spirito stesso. Ha maturato in modo forte e chiaro la coscienza della dignità del Popolo cristiano, chiamato, nella varietà dei doni e carismi, a vivere, nella comunione, la medesima responsabilità di annunziare il Vangelo. Nella nostra Diocesi dobbiamo anche a lui la riscoperta del valore della parrocchia come comunità eucaristica all’interno della Chiesa locale. Questo lo ha portato a esprimere realtà parrocchiali fortemente popolari, centrate non tanto sul fare, ma sul vivere i doni dello Spirito, disseminati nella vita di tutti, anche in coloro che sembrano lontani dalla fede e dalla vita cristiana. Gli adulti delle comunità dove è stato come parroco, hanno colto la sua sensibilità pastorale e la sua creatività nel coinvolgere tutti. Questa sensibilità pastorale è certamente un frutto genuino del Concilio, a cui lui faceva costantemente riferimento.
Una terza nota la indicherei con il termine “gratuità”. Don Tonino era una persona che non cercava notorietà. Non era interessato ad apparire. Anche nelle assemblee di presbiterio raramente prendeva la parola. Eppure era punto di riferimento per tante iniziative e orientamenti pastorali. La sua autorevolezza non derivava dall’oratoria, o da particolari studi fatti. La sua era l’autorevolezza del cristiano e del sacerdote, fedele agli impegni che nel tempo gli venivano dati, vissuti con piena fiducia nel Signore. Nella sua malattia sono andato a trovarlo due volte. Nella prima, in ospedale a Rimini: ricordo un infermiere che tesseva l’elogio di don Tonino, ma lui, rivolto a noi disse: “Bisogna vedere poi cosa pensano lassù!” . Viveva veramente nel timor di Dio, poco preoccupato di apparire davanti agli uomini.
La seconda volta è stato poco prima della sua morte. Era nella sua stanza in canonica, la mattina stessa in cui lo avrebbero portato all’ospedale. C’era tra i presenti il presentimento di un partire da casa senza più tornare. Parlando con lui, già molto provato e stanco, gli si diceva: “Coraggio Tonino, ora vai un po’ all’ospedale per rimetterti in forze, per quanto possibile”. Lui rispose: “Si fa il possibile, ma si lascia fare a chi è più grande di noi”. Aveva chiara la coscienza di vivere all’interno di un progetto di amore che ci precede e ci accompagna, di cui non sempre si riesce a comprendere tutti i passaggi. Ma il progetto di Dio è buono ed è sempre per il nostro bene, anche quando noi rimaniamo confusi per quanto accade.
L’ultima nota che emerge da quanto si è detto, è l’ottimismo, la speranza. Don Tonino aveva chiara la coscienza che il Signore ci precede sempre, che è continuamente all’opera. Anche di fronte a situazioni nuove, imprevedibili occorre sempre cogliere i germi positivi della presenza e dell’opera dello Spirito, e assecondarne in tutto l’agire. Questo modo di collocarsi di fronte alla realtà lo portava contemporaneamente a dare tempi lunghi all’ascolto della Parola di Dio e ad educare la comunità a lasciarsi convocare costantemente da Essa. L’ottimismo, la speranza cristiana che ha segnato la sua vita, ha reso anche la sua malattia e la sua stessa morte occasione forte di evangelizzazione
Biagio Della Pasqua