Terminato il canto d’ingresso – si legge nelle istruzioni del Messale romano – il sacerdote, stando in piedi alla sede, con tutta l’assemblea si segna col segno di croce. Poi, [rivolto al popolo e allargando le braccia], con il saluto annunzia alla comunità radunata la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata» (nn. 50.124).
Il primo dialogo tra il celebrante e l’assemblea liturgica, conciso, sobrio (solo due battute), è un saluto reciproco, come accede quando due persone si incontrano: le prime battute e il primo gesto (un sorriso, una stretta di mano, l’allargare le braccia o abbracciare) che si scambiano sono di saluto e, da questi, dipende tutta la cordialità, il calore e il coinvolgimento della conversazione che segue; se il saluto, invece, è freddo, impersonale e privo di ogni gesto d’accoglienza, anche il prosieguo, probabilmente, sarà dello stesso tono e la conversazione rischia presto di cadere, senza che le due persone siano entrate in comunicazione.
Il saluto tra il sacerdote e l’assemblea nella Messa segue la stessa dinamica, ma è di ben altra natura. È infatti un saluto liturgico, di natura sacramentale, in cui s’inserisce, cioè, l’azione di Dio che, nella liturgia – come ormai sappiamo – agisce attraverso i segni. Con questo saluto il celebrante e l’assemblea si annunciano reciprocamente che il Signore è presente e operante sia nel sacerdote (come Capo), sia nell’assemblea (come Corpo) riunita nel suo nome (Mt 18,20); in altre parole, ognuno riconosce e annuncia la presenza del Signore nell’altro e, finalmente, il grande mistero della Chiesa radunata (capo e corpo) è manifesto. Da questo istante la presenza del Signore in mezzo al suo Popolo diventa palpabile! Da questo istante, il sacerdote assume esplicitamente il suo ruolo profetico, regale e sacerdotale e l’assemblea quello di popolo di Dio, radunato per annunciare le meraviglie del Signore (profetico), celebrare il memoriale della sua morte e risurrezione (sacerdotale) e vincere il mondo che è sotto il dominio di satana (regale). In questo istante ognuno dovrebbe sussultare come la Samaritana al pozzo (Gv 4), quando Gesù, di fronte alla sua professione di fede («So che deve venire il Cristo»), le disse: «Sono io che ti parlo»!
Le parole di saluto del sacerdote ben esprimono l’annuncio di questa presenza, perché la formula «Il Signore sia con voi» (Dominus vobiscum), altro non significa che “il Signore è con noi”. È un saluto di origine biblica usato dagli angeli (Gdc 6,12; Lc 1,28), dagli uomini (Rut, 2,4) e anche da Dio stesso quando manda Mosè («io sarò con te», Es 3,12) o i profeti, e quando promette fedeltà al suo popolo (Dt 20,1; 2Cr 15,2); questa forma di saluto riflette soprattutto la promessa di Cristo agli apostoli («io sono con voi tutti i giorni», Mt 28,20) ed è usata da loro stessi (2Ts 3,16) e dalla chiesa primitiva (Ippolito), tanto che il Concilio di Braga (536) volle sancirlo come tradizione apostolica.
Oggi il Messale prevede ben sette formule di saluto per esprimere la pienezza e la ricchezza della presenza del Signore in mezzo al suo popolo e, tutte, sono tratte dal Nuovo Testamento (per esempio «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione con lo Spirito Santo sia con tutti voi», 2Cor 13,13; oppure «La grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi», Rm 1,7).
Il saluto con la formula «La pace sia con voi», usata dal IV sec. nelle chiese africane, è invece riservato al vescovo dal IX sec., poiché riflette il saluto stesso di Cristo agli apostoli dopo la resurrezione (Gv 20,19) e il suo dono supremo.
La risposta del popolo «E con il tuo spirito» (et cum spiritu tuo) sembra non aver subito variazioni nella storia della liturgia ed è usata anche dagli ebrei quando leggono la Torah (Adonai immachem). Di origine biblica (1Cor 2,11; 2Tm 4,22; Gal 6,18; Fil 4,23), esprime con un semitismo (che dice la parte, lo “spirito”, per indicare “tutto l’uomo”) l’annuncio del popolo al sacerdote, che il Signore è anche con lui, con tutto lui stesso (anima, psiche e corpo) e fino al suo intimo (cuore).
Non va inoltre trascurato il gesto di allargare le braccia da parte del celebrante, segno di un saluto che vuole giungere ad ogni fedele e, idealmente, abbracciare anche l’ultimo arrivato.
Un gesto e un saluto che si ripete in ogni parte della Messa (all’inizio, alla proclamazione del Vangelo, prima della preghiera eucaristica e della benedizione finale), per donarsi reciprocamente la certezza che il Kyrios che è nel sacerdote è anche nell’assemblea. Su questa comunione liturgica tra sacerdote e fedeli può ben radicarsi quella pastorale, in cui la presenza e l’agire del Signore si manifestano nell’accordo tra autorità e carismi. Su questo punto Il Signore sia davvero con noi!
Concludo con la consueta provocazione: non vi sembra che il saluto liturgico sia anche il più bel augurio che un cristiano possa fare per dire Dio ti sia accanto, ti accompagni, ti protegga…?
Elisabetta Casadei
* Le catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa).