di ANDREA PASINI
Tanta voglia di mettersi in gioco, aiutare e rendersi utili: sono questi i desideri che hanno animato gli undici ragazzi del liceo scientifico A. Einstein di Rimini che in questi mesi hanno preso un aereo alla volta dell’Etiopia, per trascorrere 16 giorni nel paese africano al fine di mettersi a disposizione in favore dei più bisognosi. Quella del viaggio missionario è ormai una tradizione all’interno dell’istituto: ogni anno alcuni studenti di quarta e quinta del gruppo di volontariato scolastico ‘Brutti e Cattivi’ vengono invitati a partecipare a questa iniziativa proposta, organizzata e supportata dal professore di religione don Giampaolo Rocchi, in collaborazione con la Diocesi di Rimini e anche con il contributo del Rotary Club. Dopo la breve parentesi di stop dovuta alla pandemia, il progetto ha potuto riprendere il proprio corso ed è tornato a coinvolgere i liceali: giovani che accolgono la proposta di uscire dal proprio quotidiano in un’esperienza unica nel suo genere, che porta alla condivisione con popoli e culture diversi. Filippo Greco è uno degli studenti che con entusiasmo e determinazione ha preso parte al viaggio.
“Già durante l’anno, con il gruppo di volontariato, avevamo avuto la possibilità di dare il nostro contributo in varie realtà e associazioni riminesi, come Tin Bòta, Pacha Mama, aiuto compiti e tante altre, ma questa è stata l’esperienza culmine del nostro percorso, che ci ha dato l’occasione di metterci pienamente in gioco e a disposizione di chi ha bisogno, confrontandoci con una realtà che qui non viviamo, con persone diverse da noi, che ci hanno davvero lasciato un’esperienza indimenticabile”.
Come si è strutturato il viaggio?
“Il nostro percorso è iniziato ancor prima della partenza: abbiamo seguito dei momenti preparatori volti a sensibilizzarci al progetto, alle sue caratteristiche e al suo sviluppo tramite anche la testimonianza di altri volontari. Il vero e proprio viaggio ha avuto inizio con l’arrivo alla capitale etiope, Addis Abeba, dalla quale ci siamo diretti prima al villaggio di Kofale, dove siamo rimasti per la prima settimana, e poi a quello di Ashira. A Kofale il nostro impegno era concentrato soprattutto durante la mattinata, dove la metà di noi trascorreva il proprio tempo con i bambini più piccoli, organizzando attività ludiche, mentre gli altri si occupavano di ragazzi più grandi, dedicandosi all’alfabetizzazione e, tramite qualche computer che avevamo portato con noi, insegnando le competenze informatiche più basilari come l’utilizzo di Word o la compilazione di una tabella. Il pomeriggio, invece, era dedicato alla figura della donna, che ancora purtroppo è in una posizione subordinata all’estrema autorità dell’uomo e che abbiamo cercato di coinvolgere in particolare nella promozione del microcredito”.
“La seconda settimana l’abbiamo trascorsa ad Ashira, ultima tappa del nostro itinerario. Qui a gruppi di due o tre persone ci confrontavamo con varie realtà: alcuni prestavano servizio presso l’Health Center, che ha la funzione del nostro medico di base e che offre particolare aiuto alle donne in gravidanza, che ancora partoriscono in casa e a cui si cerca di fornire tutto il supporto possibile al momento della nascita. Altri di noi, invece, si occupavano della scuola materna delle suore missionarie, insegnando colori, numeri e lettere ai bambini, mentre con i ragazzi più grandi ci si concentrava, come a Kofale, su alfabetizzazione e informatica. In generale il livello di istruzione ad Ashira era buono, i ragazzi andavano a scuola con più regolarità e si notava la differenza rispetto a Kofale. Nel pomeriggio invece avevamo più momenti da dedicare a noi”.
Come questo viaggio ha influenzato i rapporti tra voi ragazzi?
“Alcuni di noi si conoscevano già bene ed è stata un’occasione per rafforzare i nostri legami, ma con altri invece è stata una grande opportunità per conoscersi e stringere nuove amicizie, in una maniera che solo condividere un’esperienza del genere può realizzare e che è difficile spiegare. Si può dire che il nostro viaggio non sia davvero finito con il ritorno in Europa: abbiamo mantenuto i contatti tra noi studenti e anche con qualche ragazzo etiope, visto che qualcuno di loro aveva possibilità di accesso ai social”.
Com’è stato raccontare la vostra esperienza al ritorno a scuola davanti alle classi quarte e quinte dell’istituto?
“È stato davvero molto bello poter narrare il nostro viaggio e il nostro percorso davanti a un auditorium gremito diragazzi. Questa volta eravamo noi dalla parte della cattedra e ci ha reso molto soddisfatti che, come gli stessi docenti ci hanno fatto notare, fossero tutti molto attenti e coinvolti: speriamo di aver trasmesso loro la nostra voglia di dedicare del tempo gratuitamente a sostegno degli altri e l’importanza di un’esperienza arricchente come questa che abbiamo avuto l’opportunità di vivere”.
Un’esperienza che racconta molto dei giovani di Rimini. Proprio come sostiene la presidente del Rotary Club di Rimini Roberta Mariotti: “Non siamo sorpresi. Quando ai nostri giovani perviene una proposta concreta, che li responsabilizza e li rende pienamente protagonisti, le risposte sono di questo tipo, straordinarie e coinvolgenti”.