“Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli ha il diritto, e in alcune circostanze, anche il dovere di dimettersi”. Così Benedetto XVI rispondeva al giornalista tedesco, Peter Seewald, che gli chiedeva se mai un Papa dovesse dimettersi. La risposta contenuta nel libro-intervista Luce del mondo-Un colloquio con Peter Seewald torna oggi di sconvolgente attualità con l’annuncio di papa Ratzinger di rinunciare al ministero petrino a partire dal 28 febbraio. “Una risposta tradotta con molta coerenza nella dichiarazione di oggi” ha commentato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi mentre riferiva ai giornalisti la notizia che ha fatto subito il giro del mondo. Casi storici di rinuncia non mancano nella storia della Chiesa, anche se risalgono a moltissimi secoli fa, il più famoso dei quali è quello di Celestino V, il papa del ‘gran rifiuto’ dantesco. Sulla rinuncia di Benedetto XVI, abbiamo posto alcune domande allo storico Agostino Giovagnoli, docente all’Università cattolica di Milano.
Professore, la Chiesa universale sta vivendo un momento storico…
“Si tratta di una scelta storica che esprime una prassi che, anche se prevista dal diritto canonico, di fatto non è mai stata realizzata”.
L’accostamento tra Celestino V e Benedetto XVI è storicamente esatto?
“Celestino V e Benedetto XVI sono due esempi lontani, paragonabili solamente per ciò che riguarda la santità di vita. La decisione di Benedetto XVI è un atto di governo, una scelta al servizio e per il bene della Chiesa. Non vedo la motivazione personale, pure rispettabilissima, che spinse Celestino V alla rinuncia. Celestino era un monaco, un eremita che dopo essere stato in qualche modo obbligato a fare il Papa, ha ripreso la sua originaria vocazione. Benedetto XVI ha comunicato la sua rinuncia al ministero petrino per il bene della Chiesa e non per tornare alla sua teologia e ai suoi studi”.
Il Papa si può dimettere? È questa la domanda che tantissimi fedeli si stanno ponendo in queste ore concitate…
“Certo. Il Pontefice si può dimettere perché è contemplato dalla normativa canonica che prevede diverse ipotesi che Benedetto XVI ricorda nel suo libro, “Luce del mondo – Un colloquio con Peter Seewald”. Una di queste è richiamata dallo stesso Pontefice nel suo annuncio odierno quando afferma che – dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Siamo davanti a una concezione altissima della missione papale intesa come servizio alla Chiesa. E qui si nota tutta l’impronta spirituale di Benedetto XVI che ha vissuto il suo pontificato come servizio”.
Le dimissioni di Benedetto XVI che conseguenze avranno, da ora in poi, sulla natura del pontificato?
“Credo sia presto per dirlo. Ritengo si possa immaginare una accentuazione della missione papale come espressione di un servizio alla Chiesa che non coincide del tutto con una paternità che non è soggetta a scadenze. Con questo gesto potrebbe mutare la spiritualità del papato, il modo con cui i Pontefici interpretano il loro servizio. Non vedo mutamenti dal punto vista istituzionale al contrario di chi già pensa ad una riforma ecclesiastica”.
Vuole dire che da oggi in poi il Pontificato non sarà più legato alla vita di un Papa?
“Direi di sì anche se non parlerei di un papato ‘ad tempus’ nel senso che le dimissioni sono una possibilità e non un obbligo. Questo gesto di Benedetto XVI non impegna in alcun modo i suoi successori. La storia, poi, ci dirà meglio”.
Con l’elezione del nuovo Pontefice, Benedetto XVI sarà di fatto un Papa emerito?
“Tecnicamente potrebbe essere l’espressione che più si avvicina alla condizione in cui si verrà a trovare. Credo che papa Ratzinger farà di tutto per evitare che si possa alludere alla sua persona come elemento di sovrapposizione anche simbolica con chi sarà eletto al suo posto nel Conclave”.
Daniele Rocchi (Sir)