LA TESTIMONIANZA. Enelda: “Ho capito che la povertà è anche solitudine”
Lei si chiama Enelda, ha 22 anni, e ha scelto di fare il servizio civile in Caritas. E allora, proprio a lei, abbiamo rivolto qualche domanda per far capire cosa significhi investire un anno della propria vita all’interno di questo mondo.
Partiamo subito da una domanda spot promozionale: perché un giovane dovrebbe decidere di fare servizio civile in Caritas?
“Perché si entra in contatto con una realtà che a parer mio è sconosciuta. Oggi conta solo quanto denaro hai, quanto ne puoi spendere e viene meno l’essenza dell’essere umano. Non abbiamo idea di quello che succede intorno a noi, alle persone comuni. Pensiamo che i poveri siano solo quelli senza soldi, quelli che, se li incontri per strada, li riconosci perché magari sono vestiti male. La povertà è molto altro: è solitudine, è carenza di affetti, è emarginazione. Il servizio civile in Caritas mi ha permesso di vedere queste realtà e di comprendere come non siano lontane da noi. Purtroppo credo che i giovani non si avvicinino alla Caritas per un pregiudizio: fa parte della Chiesa e quindi sarà un posto di preghiera, rigido, in cui devi per forza essere credente. La Caritas, invece, è un posto che accoglie tutti e lascia ad ognuno la libertà di essere credente oppure no, di avere un’altra fede o altre idee. È un posto con tantissimi progetti e servizi, non è solo mensa o distribuzione di vestiti e ognuno può trovare il suo spazio”.
Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?
“Ho scelto il servizio civile perché avevo voglia di fare qualcosa di concreto e non sprecare il tempo aspettando che mi arrivasse qualcosa da fare. Alle superiori sono venuti a scuola degli operatori Caritas per raccontarci la realtà, ci hanno fatto capire quanto per loro sia importante considerare i poveri, non dei numeri, ma come persone. Mi ha molto colpita quello che ci è stato detto e, alla prima occasione utile, ne ho approfittato per approfondire”.
Tu fai l’università, si può studiare e fare servizio civile?
“Si può. Sono iscritta al terzo anno di EducatoreSociale e Culturale. Oltre ad essere un ambito estremamente attinente ai miei studi, a differenza di un lavoro, mi ha permesso una buona flessibilità di orario e poi il giorno dell’esame è riconosciuto come permesso straordinario”.
Di che cosa ti sei occupata durante l’anno?
“Ho fatto parte di un progetto che prevedeva servizio al Centro d’Ascolto, all’Emporio, mi sono occupata di persone che prima non avevano una casa, ma ora condividono un’abitazione con altri, ma anche analisi dati. Il Centro d’ascolto, mi piace la definizione di cuore pulsante della Caritas, mi ha permesso di rendermi conto che le persone vanno considerate in quanto tali. Non sono numeri, non hanno bisogno di buoni pasto, di vestiti, sono esseri umani che hanno bisogno di raccontarsi, di essere riconosciuti. L’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse mi ha poi dato la possibilità di considerare i dati come qualcosa di importante per analizzare i bisogni e così costruire progetti nuovi”.
Quello che hai scelto tu era l’unico progetto di servizio civile presente in Caritas?
“No. È possibile scegliere un altro progetto che si occupa di anziani. Come dicevo prima, la povertà non è solo mancanza di soldi, è molto spesso solitudine. Il progetto del giro nonni vuole contrastare la solitudine di queste persone. Al mattino si va a casa loro per la consegna del pasto, questa è anche l’occasione per scambiare due chiacchiere e prendere nota di eventuali esigenze. Il pomeriggio poi si va a casa delle persone per far loro un po’ di compagnia”.
Raccontaci un episodio che ti ha particolarmente colpita?
“Mi porterò sempre nel cuore un episodio semplice, ma che mi ha toccata profondamente. Eravamo vicino al Natale e una signora che seguivamo, non una signora molto espansiva e di certo non facile, mi ha fatto capire che il mio servizio, che io pensavo marginale, di routine, invece per lei era molto importante. Eravamo diventati per lei delle persone di riferimento, degli amici. Un altro episodio che posso raccontare è avvenuto durante un ascolto. Un signore mi ha raccontato la sua vita e mi ha colpito perché, per una scelta sbagliata, una scelta sbagliata che chiunque potrebbe fare, la sua vita ha preso poi una piega negativa. Quando rimani solo rischi poi di non riuscire a riprendere il cammino e hai bisogno di qualcuno che ti si faccia prossimo. L’ho sentito molto vicino a me e spero lui abbia sentito noi vicini”.
Il servizio civile ti ha aiutata a capire meglio che cosa vuoi fare nella vita?
“Decisamente. Mi ha fatto capire che, volendo fare io l’educatrice, non dovrò permettere che le realtà che ho incontrato siano invisibili. Mi piacerebbe andare nelle scuole e raccontarlo ai giovani. Ho poi capito che c’è tantissimo da fare e che dovrebbero essere anche i giovani a darsi da fare. In tanti stanno magari a casa senza far niente aspettando che qualcosa gli piova dal cielo, quando invece ci sarebbe un’opportunità come quella del servizio civile”.
Tu lo hai fatto con altri ragazzi, è stato positivo?
“È stato molto positivo, perché non avevo tutto sulle mie spalle, condividevo il percorso. È stato un mettersi in discussione continuo, un lavoro di squadra, c’era un continuo confronto con persone anche molto diverse tra loro. Idee diverse, motivazioni diverse e modi diversi di vivere le cose. Ti mette molto in gioco come esperienza e ti dà delle basi per affrontare il lavoro futuro”.
Paola Bonadonna