Home Attualita “Il pulpito di Gesù era la strada”

“Il pulpito di Gesù era la strada”

“Professore! Sono un vescovo della Chiesa Cattolica: grazie!” è il grido che si è levato dal mezzo dalla navata della Chiesa di Sant’Agostino, al termine dell’intervento del professor Paolo Ricca, fine teologo e pastore della Chiesa Valdese. Mons. Garavaglia, vescovo emerito di Cesena-Sarsina, nascosto tra i presenti, “non ha potuto tacere” la sua gratitudine (e forse anche il suo stupore) nel vedersi restituire il magistero del vescovo di Roma sull’evangelizzazione con tanta limpidezza e profondità. Che fosse un valdese a spiegarci quell’essenzialità a cui intende condurci papa Francesco nel pensare anche la nostra Missione diocesana, proprio non ce lo aspettavamo.

Il Tempo
presente
Per l’annuncio del Vangelo il consulente teologo dei Dieci Comandamenti di Roberto Benigni considera rilevante il tempo presente almeno sotto tre aspetti:
a) il moltiplicarsi delle povertà: le speranze economiche e scientifiche degli ultimi decenni oggi sono smentite. Tanti poveri, di ogni genere, sono in attesa di una buona notizia.
b) l’eclisse del cielo: l’uomo fatica a “localizzare” il cielo, quella direzione verso cui può andare oltre se stesso e trascendersi. Sublima il suo desiderio d’infinito nell’”al di qua”, cioè nelle cose e nelle sfide economico-sociali.
c) il lato oscuro della religione: roghi e guerre di religione dall’ “11 settembre” sono uno spettro attualissimo, per cui oggi le religioni sono viste come realtà pericolose; droghe che eccitano guerre più che “oppio dei popoli”.

L’annuncio
del Vangelo
Come allora annunciare il Vangelo nel tempo presente? Basta affondare lo sguardo nei quattro vangeli. Essi raccontano anzi tutto che Gesù non ha annunciato una religione, ma il Regno di Dio come presente, cioé una buona notizia, una benedizione che dà gioia e vita.
Di questo annuncio è però importante tener presenti almeno due cose: il luogo da dove si annuncia e il cosa dire.

La strada
come pulpito
Il luogo spesso incide sul contenuto, come quando si parla di pace in un salotto o in mezzo a campo di battaglia. Gesù era un profeta “in uscita” – spiega il professor Ricca – poiché il “pulpito da cui predicava” non era tanto la sinagoga o il tempio, ma soprattutto la strada, lungo la quale incontrava i cosiddetti “malati” (Levi, Zaccheo, cieco, lebbroso, emorroissa, ecc.). Questo particolare mostra che il Vangelo è una “Parola in movimento”, in uscita, come fu il comando di Dio per Abramo: «Esci dalla tua terra!» (Gn 12). Il Dio che annunciamo non è un Dio che aspetta che gli uomini vadano da Lui, ma è Lui ad uscire verso di loro e lo ha fatto nel Figlio; poi negli apostoli, fino agli odierni evangelizzatori e missionari. È sulla strada che il vangelo fiorisce!

L’essenzialità
dell’annuncio
Il modo, lo stile con cui si annuncia il Vangelo è già il suo contenuto, che si può snodare lungo quattro linee, espresse dal pastore valdese a mò di slogans:
a) più sapienza e meno dottrina: leggiamo nei vangeli che Gesù insegna poca dottrina e molta sapienza; non fornisce definizioni, ma le similitudini delle parabole: semplici e incisive. Gesù chiedeva ai suoi interlocutori una cosa semplicissima: un atto di fede nella sua persona, un abbandono fiducioso in Dio. Questo devono predicare i missionari del vangelo, come ci ha messo in guardia papa Francesco: «A volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono è qualcosa che non corrisponde al Vangelo. Con la santa intenzione di comunicare loro verità su Dio, diamo loro un falso dio; siamo fedeli a una formulazione ma non trasmettiamo la sostanza» (Evangeli Gaudium, 41).
b) Dio è reale>: è vivo ed è il centro della predicazione di Gesù. Egli non ha insegnato altro che Dio: «Mio cibo è fare la volontà del Padre» (Gv 4,31). Oggi nulla è più urgente che ritrovare il centro dell’annuncio: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti» (Evengelii Gaudium, 164).
c) L’umanità di Dio: nell’incarnazione Dio rivela non solo la sua divinità, ma anche la “sua umanità”. È importante tenerlo presente, perché oggi l’uomo rischia di diventare disumano. Annunciare allora che Dio è “veramente uomo” è davvero una buona notizia, perché l’uomo ancora non ce l’ha fatta a diventarlo! Dio è custode della nostra vera identità; con Dio siamo più uomini.
d) Fede come amore: invitare alla fede è invitare a vivere l’amore. Gesù ha dato solo due comandamenti: l’amore a Dio con “tutto il cuore” e l’amore al prossimo “come a se stessi”. Questo è il nucleo della fede viva. Solo l’amore resta e l’amore è la virtù teologale più grande. Perché? Perché «la fede ci fa vivere di fronte a Dio, la speranza ci fa vivere verso Dio, ma la carità, invece, ci fa vivere in Dio, per cui annulla la distanza tra l’uomo e Dio»: questo, appunto, dobbiamo annunciare e insegnare.

a cura di Elisabetta Casadei