“Di fronte a coloro che ostentano i segni del potere, dobbiamo mostrare il potere dei segni”. Papa Francesco è andato a lezione da Tonino Bello, che in quanto a “segni” era davvero maestro. Basti ricordare quando, ormai gravemente malato del tumore che l’avrebbe presto portato alla tomba, si aggregò ai 500 pacifisti che forzarono l’assedio di Sarajevo per gridare al mondo il dramma di quel popolo.
Papa Francesco dal quel “Buonasera” del 13 marzo 2013 non si è mai stancato di comunicare molto più con i gesti che con le parole. Lesbo, com’era stata Lampedusa, è solo l’ultimo suo gesto profetico. Altri precedenti, tra gli altri, sono stati il rischioso viaggio in Centro Africa, oppure il continuo sforzo perché i potenti della terra non dimentichino la marea di persone che ogni giorno tenta il passaggio tra Messico e Usa. Egli si sta facendo voce di chi non avrà mai la possibilità di essere ascoltato, di chi subisce minacce ed è stato costretto a lasciare tutto. Francesco, con i suoi “segni”, la sua presenza concreta in molti dei luoghi-simbolo dell’ingiustizia e della violenza, il coinvolgimento ecumenico di tutti i cristiani, vale più delle troppe e vuote parole spese da chi avrebbe il potere di attuare piani concreti di pace, di difesa dei diritti e di giustizia, soprattutto in favore di tanti. E purtroppo il dramma continua.
Mentre scrivo queste poche righe, nel giorno in cui si ricordano gli 800 migranti morti un anno fa, giunge la notizia di altre 400 vittime nel Mediterraneo. Pregando il Signore a Lesbo il papa ha detto: “Fa’ che, prendendoci cura di loro, possiamo muovere un mondo dove nessuno sia costretto a lasciare la propria casa e dove tutti possano vivere in libertà e dignità”. La preghiera è al Signore, ma l’appello è al mondo. I profughi non sono numeri, ma volti, persone, storie; uomini e donne con le loro sofferenze, con le ferite dovute a guerre, violenze, privazioni, umiliazione. A Lesbo il patriarca Bartolomeo ha detto: “Abbiamo viaggiato fin qui per guardare nei vostri occhi, sentire le vostre voci e tenere le vostre mani”.
Questi “segni” sono posti perché altri possano imitarli, tradurli in vita nuova. Ciascuno secondo le proprie possibilità, la propria responsabilità. D’altra parte si tratta di segni eloquenti. Semplici. Chiari. E sbaglieremmo a immaginare che quegli stessi segni siano rivolti esclusivamente al mondo delle istituzioni, a chi continua a perseguire le politiche disastrose e inumane dei muri, a chi seguita ad aggiungere parole al vocabolario xenofobo per alimentare il carburante della paura. Oggi quei gesti sono rivolti a ciascuno di noi, alle nostre coscienze, alla nostra umanità, cristiana o laica che sia.