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Il pentimento del vescovo napoleonico

Questi rapidi mutamenti venivano vissuti dalla Chiesa riminese in maniera ambivalente: da una parte si riconosceva che il clima generale era meno anticlericale rispetto al triennio giacobino, dall’altro si temeva che Napoleone intendesse imporre un’egemonia totale sulla chiesa.
Tanto più dopo che, alla morte di Ferretti, Napoleone aveva nominato vescovo mons. Gualfardo Ridolfi, che era poi stato consacrato a Milano dall’ arcivescovo di Ravenna mons. Codronchi, di sicura fede napoleonica.

Il nuovo vescovo, per riconoscimento unanime era persona retta e affabile, ottimo predicatore ed era molto benvoluto dai fedeli. Ma toccò a lui effettuare la riduzione del numero delle parrocchie, già precedentemente stabilita, dare il benestare all’incameramento dei loro beni da parte del Regno d’Italia e consentire che venissero sciolte molte confraternite.
Inevitabilmente molte delle sue prese di posizione trovarono la resistenza di gran parte del clero.

Il primo motivo di dissenso riguardò l’introduzione del Catechismo napoleonico. La discussione riguardava soprattutto il capitolo dedicato ai comandamenti, in particolare il quarto, che il nuovo catechismo declinava in modo da comprendere i doveri dei cristiani verso i “principi che li governano”.
Don Carlo Joli, che era stato collaboratore del vescovo Ferretti, si oppone in maniera decisa, sostenendo la necessità di non discostarsi dal catechismo del Bellarmino, adottato in molte parrocchie. Per questo gli fu impedito dalle autorità civili di parlare in pubblico (ma la protesta popolare indusse poi a togliere il divieto). Il vescovo Ridolfi nel 1807 interviene allora con una lettera ai parroci nella quale li invita perentoriamente a uniformarsi al decreto imperiale.

Un secondo motivo di attrito venne rappresentato dall’accoglienza, con tanto di incenso, che i parroci furono costretti a fare al viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais, di passaggio da Rimini, nel 1808, dopo la visita alle province dello Stato Pontificio appena annesse. A questo si aggiunse la lettera spedita dal vescovo ai parroci, per deplorare il fatto che si rifiutavano di consegnare alle autorità i registri coi nomi dei giovani che avrebbero dovuto essere arruolati nelle armate di Napoleone.

Oggetto di critiche fu anche il fatto che il vescovo non avesse protestato ufficialmente contro l’arresto degli ex gesuiti spagnoli presenti in diocesi, avesse celebrato una messa cantata in duomo in occasione del matrimonio di Napoleone con Maria Teresa d’Austria e avesse fatto accettare dal Capitolo (1810) il senatoconsulto secondo il quale i papi, al momento della loro elezione avrebbero dovuto giurare di rispettare le 4 proposizioni della Chiesa gallicana (la superiorità del concilio sul papa, il diniego della potestà del pontefice romano in materia anche temporale, il diniego dell’infallibilità del papa, affermazione dell’ autonomia delle chiese nazionali).

Le preoccupazioni in diocesi nascevano anche dal trattamento
che in quegli anni era riservato al papa e alla chiesa. Nel 1806, infatti, Napoleone aveva decretato il blocco continentale per colpire l’Inghilterra nei suoi commerci e, poiché lo Stato Pontificio si era rifiutato di applicarlo, aveva fatto annettere le Marche al Regno d’Italia (1808), occupare il Lazio e Roma (1809) e, incurante della scomunica, aveva portato prigioniero il papa prima a Grenoble poi a Savona. Nel 1810 da un tribunale ecclesiastico istituito ad hoc, aveva fatto sciogliere il matrimonio con Josephine de Beauharnais e aveva costretto a lasciare la porpora, relegandoli in varie città della Francia, i tredici cardinali italiani “neri”, quelli, cioè, che durante la cerimonia nuziale avevano rifiutato di indossare l’abito rosso. Nel 1811, infine, aveva convocato un concilio a Parigi, con l’intenzione di ottenere il riconoscimento del suo potere di nomina dei vescovi e della possibilità di una loro consacrazione da parte dei vescovi metropolitani, in caso di mancata approvazione da parte del papa. Nel concilio, invece, si trovò di fronte ad una inaspettata opposizione: la maggioranza dei vescovi si dichiarò contraria alla competenza esclusiva del concilio; perfino l’arcivescovo Codronchi sostenne la legittimità della scomunica inflitta a Napoleone dal papa.
Alle sue posizioni si allineò il vescovo Ridolfi, presente al concilio insieme al segretario don Luigi Nardi. Falliti tutti i tentativi di conciliazione il papa venne trasferito al castello di Fointainebleu, dove rimase diciannove mesi sotto stretta sorveglianza.

La rovinosa campagna di Russia del 1812 permise alle opposizioni di alzare la testa, segno evidente che era fallito il progetto di ottenere il consenso delle elite aristocratiche e borghesi, mentre, d’altra parte, tra la popolazione delle campagne e della città cresceva il malcontento per il rincaro dei prezzi delle derrate alimentari e il peso delle imposte. Dopo essere stato sconfitto a Lipsia, nel gennaio del 1814 Napoleone fa rientrare Pio VII a Savona. Di lì il papa è accompagnato a Bologna e, libero di tornare a Roma, può attraversare i territori delle ex Legazioni: a Imola, dove si ferma per presiedere alle cerimonie della Settimana santa, lo raggiunge il vescovo Ridolfi per “umiliargli la venerazione dovutagli”; a Cesena, sua città natale, gli va incontro l’arcivescovo Codronchi, per chiedere perdono; a Rimini è accolto dall’affetto di una folla festante.

Grazie all’abilità diplomatica del card. Consalvi al Congresso di Vienna del 1815 il papa si vide restituito il suo antico stato con le Legazioni e le Marche. Nella politica e nell’amministrazione interna il papa e il cardinal Consalvi preferirono non dare rilievo ai contrasti e si affidarono a strumenti collaudati, come i sinodi, per ristabilire l’armonia tra le diverse componenti del clero. A Rimini toccò al vescovo Ridolfi celebrare nel 1818 un sinodo e pubblicarne i risultati che marcavano una cesura netta con quanto egli aveva fino a pochi anni prima pensato e operato…

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Cinzia Montevecchi

Si conclude con questo articolo l’ampia presentazione, curata dalla prof. Cinzia Montevecchi, del terzo volume della Storia della Chiesa riminese, edito a cura dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A.Marvelli” e della Biblioteca Diocesana “Mons. E. Biancheri”