Sabato 9 novembre ricorrono i 30 anni dalla caduta del muro di Berlino. Era la fine dichiarata della guerra fredda, delle contrapposizioni ideologiche. Eravamo tutti convinti di trovarci di fronte ad una di quelle svolte inaspettate che la storia talvolta ci consegna.
La gente ballava su quel muro dove arrampicarsi solo pochi giorni prima significava fare da bersaglio ai cecchini appostati sulle torrette di controllo della lunga fascia di terra di nessuno e lì tanti erano morti. Stava per aprirsi un tempo di pace stabile per tutti. La storia, bastarda, smentirà questa tesi da subito.
Lo scoppio dello scontro etnico-religioso in Jugoslavia nel cuore della civilissima Europa, due guerre in Iraq, la grande minaccia terroristica con l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre, l’Afghanistan, la Libia, la Siria, l’Isis… Il mondo dopo il Muro non solo si è scoperto più incerto e più insicuro ma sono riaffiorati “mostri” antichi, come l’intolleranza e la pulizia etnica e religiosa, il razzismo, il genocidio, le persecuzioni dell’uomo sull’uomo.
Onestamente oggi non mi sento di celebrare nulla, perché ogni giorno che passa vien da chiedersi se quel muro è stato abbattuto davvero e non si è invece trasferito nel cuore di ognuno di noi. Quest’estate, con mio nipote, ho finalmente visitato Berlino. Ho camminato sulla striscia di mattoni dal colore diverso che attraversa la città. Una sensazione strana. Era come sentire le voci di gioia di quel giorno di festa, ma contemporaneamente il mio pensiero andava ad un altro muro, quello che divideva Gorizia.
Con i miei parrocchiani qualche anno fa avevamo ballato saltando da una parte all’altra del vecchio confine, ma quest’estate il governo sloveno aveva annunciato nuovi muri. Non per noi italiani, ma per gli immigrati, i profughi, “quelli che ci invadono”. Come muri di filo spinato erano già stati messi sul confine con la Serbia e altri sul fronte del mare, incolpando dell’ “invasione” chi invece salvava la vita ai naufraghi. Per un muro crollato, tanti altri vengono eretti.
Oggi non abbiamo più paura dell’Impero sovietico. Il nuovo incubo che ci viene servito è l’invasione dei migranti che arrivano dalle coste a depredarci. La grande paura che regna oggi è un nuovo muro – un muro mentale –, eretto dentro ciascuno di noi.
Come tutti i muri, è oppressivo. Perché spinge nell’angolo del pensiero unico. Pare che la storia abbia così poca fantasia che tende a imitare se stessa. In ogni caso, sembra di essere alla vigilia di una nuova forma di oppressione. E ci si sente impotenti, come di fronte al muro di Berlino, quando i Vopos sparavano a chiunque si avvicinasse. Magari sarà un post, un twitt o un ululato da stadio. Tanti piccoli mattoni per grandi muri.