Una voce martellante. A volte quasi logorante. Come la goccia con la roccia. Un po’ alla volta. Con costanza. Finché non si è fermato un attimo e ha capito che cosa volesse dirgli quella voce. “Non è tutto qui!”. E così la decisione di abbandonare gli studi universitari per dedicarsi anima e corpo al suo grande sogno: la fotografia. E per seguire quel sogno ha ben presto capito che Rimini gli stava un po’ troppo stretta. Fatte le valigie si è imbarcato su un aereo: destinazione, Stati Uniti d’America dove nel giro di pochi anni, Gianluca Fellini, è diventato uno dei direttori di fotografia per il cinema tra i più apprezzati. In questi giorni è tornato a Rimini, un po’ di vacanze e poi subito a lavorare in Toscana, dove darà il suo contributo per una nuova pellicola di cui non si può svelare nulla.
Raccontaci qualcosa di te.
“Sono nato a Rimini il 17 febbraio del 1981. Dopo aver frequentato le elementari alle «Ferrari», le superiori alla «Leon Battista Alberti» e il liceo «Serpieri» mi sono iscritto a Giurisperudenza, ma dopo il terzo anno ho deciso di smettere”.
Sei stato anche un buon giocatore di pallacanestro o sbaglio?
“Diciamo che me la cavavo benino. Ho giocato a basket per 15 anni, dagli 8 ai 23, e devo dire che questa è stata l’attività che mi ha appassionato di più, che ha preso più spazio nella mia vita e che mi ha regalato le più grandi soddisfazioni”.
Almeno fino alla comparsa della famosa vocina.
“Esattamente. Intorno ai 21 anni mi sono reso conto che tutto questo non mi bastava più e una voce dentro mi continuava a dire che «non è tutto qui… c’è dell’altro» e io ho ascoltato la voce e ho riniziato da zero”.
E hai preso in mano la macchina fotografica.
“Sono sempre stato affascinato dalle belle immagini. Sfogliavo libri di foto, guardavo film e documentari e ogni volta mi sentivo in pace. Alcune immagini mi davano felicità. È una cosa fisiologica, il corpo reagisce a ciò che realmente ti piace. In più mi ha sempre intrigato la macchina fotografica di per sè, come oggetto: il corpo, gli obbiettivi, tutti gli accessori. L’ho sempre vista come un’arma, quando fotografo mi sento un guerriero, un cacciatore che osserva e caccia l’immagine che più mi fa felice. La macchina fotografica è il mio arco”.
Un arco che hai deciso di usare in America.
“A ottobre sono otto anni che mi sono trasferito. Negli States esercito la mia professione di fotografo e negli ultimi due anni mi sono specializzato nelle immagini in movimento. Faccio il Direttore della fotografia per il cinema, il regista e il creative director. Ho appena aperto un’agenzia creativa tutta mia chiamata «7thaven». Perché ho lasciato l’Italia? Perché non è un paese meritocratico”.
Grazie al tuo lavoro hai fatto amicizia con qualche vip del cinema?
“Ne ho incontrati tanti, ho stretto parecchie mani scambiando anche quattro chiacchiere con molti di loro. Però non ho stretto nessuna amicizia particolare. Diciamo che tra quelli con cui ho avuto più contatti ci sono Dustin Hoffman, Leonardo Di Caprio, Jamie Fox e Bill Kaulitz”.
Quando sei in America, ti manca mai Rimini?
“A volte. Ma più che Rimini mi mancano la mia famiglia e i miei amici. Di Rimini mi manca la piadina e la spiaggia con la nebbia. Onestamente il resto non mi manca. Rimini è ferma da anni, è diventata una città senza un’identità vera. Non si è evoluta ne ha saputo apprezzare e sottolineare la propria storia in maniera intelligente”.
Quindi non pensi di tornare.
“Per fare vacanza sì, ma non per viverci. Almeno per il momento”.
Francesco Barone