Probabilmente una mano gliel’ha data anche Biden battendo Trump. Come pure l’Europa cambiando il suo atteggiamento, da ispettrice con la bacchetta in mano a sollecitatrice di crescita. Poi la pandemia e le elezioni tedesche…
A cosa bisogna attaccarsi per dire che Jamil Sadegholvaad ce l’avrebbe fatta al primo turno, quando non più di sei mesi fa nessuno a Rimini avrebbe scommesso un euro su di un giovanotto dal cognome esotico, che poi tutti hanno trovato più semplice chiamare col nome di battesimo, Jamil (sic!)? E solo ascoltando il suo primo messaggio abbiamo scoperto avere la “essce” romagnola come noi. E dunque perché, e come, ce l’ha fatta al primo turno?
Due motivazioni di fondo sono già chiare: Jamil è stato per 10 anni uno dei più stretti collaboratori del sindaco Gnassi e questo i riminesi gliel’hanno riconosciuto (la lista Jamil-Gnassi con il 17% è il secondo partito a Rimini) e anche se tutti abbiamo memoria corta, è sembrata esagerata e fuori luogo, anche nel gioco di ruolo politico, la demonizzazione proposta da alcuni anche del buono fatto in questi 10 anni.
Ma poi soprattutto perché i riminesi, e con loro buona parte degli italiani, pare si siano davvero stancati di una politica fatta solo di slogan populisti e di propaganda ideologica. L’esperienza epocale della pandemia, ha portato le persone ad essere molto più interessate a pensare in concreto che “bisogna fare quel che si deve fare”, giusto per ripetere le parole del premier Draghi.
Gli altri si leccano le ferite. Gloria Lisi, che pure ha avuto un buon successo personale (4,18 di lista) a causa dello sprofondo dei 5stelle (2,45) non è andata oltre un 8,93 che non le ha permesso di essere l’ago della bilancia, come era nella logica delle cose. La destra subisce una durissima sconfitta, non a causa del candidato, l’ultimo arrivato del gruppo, ma per le divisioni intestine che l’attraversano, con troppi galletti, ad immagine del livello nazionale, a contendersi il pollaio. I no-vax confermano la loro forte presenza a Rimini esprimendo (un po’ a sorpresa) in consiglio comunale il giovane Matteo Angelini (4,2).
In sintesi emergono alcuni segnali importanti (e non solo a livello riminese).
Il primo è l’aumento dell’astensionismo che ha toccato livelli record, anche a Rimini (solo il 55,59% i votanti) pure nel confronto con la precedente tornata amministrativa del 2016.
Il secondo è che complessivamente il voto è sembrato dar credito alle candidature apparse più solide e meno improvvisate, seppur frutto dei necessari accordi politici.
Il terzo è che gli elettori hanno premiato i partiti che in questi mesi non hanno ceduto più frequentemente alle tentazioni estremiste.
Serietà, concretezza, capacità di mediazione e allo stesso tempo di decisione, sono virtù che gli italiani hanno mostrato sempre più di apprezzare. Insomma, il metodo Draghi.